Fondazioni bancarie, l'età e gli "incidenti" le hanno rese più forti

Fondazioni bancarie, l'età e gli "incidenti" le hanno rese più forti
di Rosario Dimito
Mercoledì 2 Febbraio 2022, 14:48 - Ultimo agg. 22 Febbraio, 02:10
6 Minuti di Lettura

Gestiscono patrimoni per 40 miliardi, hanno erogato a fondo perduto 26 miliardi in 30 anni, oltre a quelle risorse che, per il loro ruolo istituzionale, sono in grado di mobilitare.

Sono ben radicate nel territorio e assolvono compiti sociali che la politica tende a ignorare. L’ultima iniziativa, annunciata pochi giorni fa, il lancio del fondo “Repubblica digitale” finanziato con 350 milioni con l’obiettivo di ridurre in 5 anni il gap che separa l’Italia dall’Europa. Sono le Fondazioni bancarie, nate nel 1990 in forza della Legge Amato, più tardi aggiornata con l’attuazione della legge delega di Guido Carli, per scendere sotto il 100% nelle conferitarie e per separare le due funzioni principali degli istituti che si voleva privatizzare: quelle istituzionali pubbliche e quelle imprenditoriali private, collocando l’attività creditizia in società per azioni e assegnando i titoli relativi agli enti pubblici conferenti, ovvero le Fondazioni. Che più tardi verranno trasformate in “Fondazioni di diritto privato”, senza però superare l’ambiguità creata dalla circostanza di dover amministrare ingenti patrimoni con logiche privatistiche al fine di sostenere attività di interesse generale. Col tempo la metamorfosi travalicò l’obiettivo della legge, al punto che Amato, sorpreso dall’evoluzione indesiderata della sua creatura per le ingerenze della politica, si paragonò a Frankenstein, il creatore di mostri.

LA DERIVA DI CHIETI

Grazie alla determinazione dello storico presidente di Acri e Cariplo Giuseppe Guzzetti, figura di grande rilievo nel panorama italiano, dotato di talento politico, visione e gran tessitore, le Fondazioni hanno superato non pochi ostacoli nell’intento di allontanare le mani rapaci della politica: nel 2002 l’allora ministro del Tesoro Giulio Tremonti tentò una riforma per imporre una maggioranza pubblica negli organi di indirizzo, ma alla fine trionfò la tesi di Guzzetti, accolta dalla Corte Costituzionale che sancì definitivamente il ruolo e la natura giuridica di soggetti privati non profit delle Fondazioni bancarie. Sicché l’impronta originaria «di perseguire scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico» è rimasta intatta, come conferma il rapporto di 17 pagine presentato di recente alla Commissione d’inchiesta sulle banche dai vertici dell’Acri, Francesco Profumo e Giorgio Righetti. Non che siano mancati incidenti di percorso. Qualche Fondazione è finita nell’occhio del ciclone per comportamenti disinvolti. E tuttavia, l’unica costretta a essere salvata è Fondazione Chieti: la sua banca conferitaria è una delle quattro finite nel 2015 nel processo di risoluzione. Ferrara, anch’essa coinvolta nella deriva di quel periodo, è rimasta in vita con un patrimonio quasi simbolico (1 milione) mentre le marchigiane e le romagnole, concentrate nelle rispettive conferitarie, hanno retto pur dimagrendo nel patrimonio. Si consideri che nel primo decennio di vita, la loro mission principale era il governo delle banche partecipate, da cui lentamente si sono però distaccate, dedicandosi sempre più al sociale e al territorio grazie a Guzzetti. Sono da anni soci di Cdp e F2i con funzioni propulsive.

Per venire ai giorni nostri, va segnalato il ruolo delle 86 Fondazioni durante la crisi pandemica, che oltre a mettere a disposizione 130 milioni in azioni di sostegno, hanno reso più facile agli enti locali l’accesso ai fondi del Pnrr. Innegabile, tra l’altro, la dimostrazione di efficienza nella gestione del patrimonio: nel 2020 hanno generato un avanzo di 1.050 milioni, con una redditività totale di 1.421 milioni, pari al 3,6% sul patrimonio netto. Non poco di questi tempi, visti i tassi a zero o poco più e il Covid. Sono risultati importanti anche perché ottenuti senza beneficiare dei dividendi delle banche per lo stop imposto dalla Bce legato agli effetti della pandemia. Quanto all’attività sul territorio, l’avanzo di gestione, cioè il totale dei proventi al netto degli oneri, nel periodo 2016-2020 è stato in media assegnato per il 70% all’attività istituzionale e per il 30% alla salvaguardia del patrimonio, secondo le regole del ministero vigilante, vale a dire l’Economia. L’attività erogativa a favore di soggetti pubblici, privati e non profit è ammontata a poco meno di 5 miliardi, inclusi 163 milioni destinati al Fondo del Volontariato. La mission caratteristica di questi enti è il welfare di comunità, su cui Guzzetti ha sempre insistito che consiste nell’accompagnare organizzazioni del terzo settore, istituzioni, imprese, cittadini attivi per il benessere della comunità, realizzando la sussidiarietà orizzontale. Nel 2020, le Fondazioni hanno erogato 950 milioni tramite 20mila interventi con una dimensione media di circa 47mila euro. L’arte e attività culturali hanno fatto la parte del leone beneficiando di 220 milioni (23%); al volontariato, filantropia e beneficenza sono andati 145 milioni (15%), alla ricerca e sviluppo 112 milioni (12%), all’assistenza sociale 105 milioni (11%). A valori contabili l’insieme dei patrimoni si attesta a 39,7 miliardi mentre il totale dell’attivo è di 46,1 miliardi. Di questa somma il 52% è investito in strumenti finanziari diversificati e il 23% nelle banche conferitarie. A fine 2020, ben 36 Fondazioni non detenevano più azioni nella banca di origine, altre 36 avevano meno del 5%, otto un pacchetto tra il 5 e il 50% e solo sei, di piccole dimensioni, possedevano oltre il 50%. Nel 2021 sono diventate cinque dopo la fusione di CariCento in Credem: si tratta di Fossano, Fermo, Volterra, Savigliano, Bolzano e le loro controllate, non quotate, rappresentano lo 0,8% dell’attivo delle banche italiane.

STOP ALLE PORTE GIREVOLI

 Il rapporto fornisce un quadro dettagliato delle partecipazioni nelle banche. Tra le medio-grandi, nella Banca di Asti tre Fondazioni hanno il 48,9%, in Bper in due hanno il 10,5%, in Intesa Sanpaolo ne figurano 14 per un totale del 16,9%, in Unicredit sono 11 per il 4,8%. Specie in Intesa Sanpaolo, il ruolo degli enti è stato determinante per garantire la stabilità. Anche in Unicredit, oltre a favorirne la nascita tramite la fusione tra Credito Italiano e le Casse di Verona, Vicenza e Treviso (1998), le Fondazioni hanno accompagnato la sua crescita. Se questi sono gli esempi virtuosi, va ricordato il caso della Fondazione Montepaschi, quando la politica locale dominata dal Pci-Pd interferiva nelle elezioni degli organi e nelle dinamiche gestionali, fino al punto da provocare nel 2017 la nazionalizzazione dell’istituto.

Un epilogo figlio di una gestione scriteriata delle politiche di Siena, che se da una parte garantivano posti di lavoro e benessere del territorio, dall’altra impedirono fino al ‘95 la trasformazione in spa dell’istituto per garantire alla Fondazione di non diluirsi sotto il 51%. Solo otto anni fa è stato cancellato dallo statuto l’obbligo che una quota dell’utile venisse distribuita alle città di Siena e Grosseto. Per non parlare, in ambito diverso, delle lotte intestine che hanno condizionato la Fondazione Carisbo tra schieramenti ispirati persino da “ambienti estranei”. Situazioni al limite, e intrecci di interessi localistici per contrastare i quali è stato sottoscritto ad aprile 2015 il protocollo Acri-Mef con l’introduzione di regole che garantiscono lo stop alle porte girevoli tra Fondazioni e banche. Resta la sostanza e il valore delle Fondazioni, solo marginalmente sfiorate da quelle vicende parziali, che tuttavia sembrano confermare la solidità e l’utilità sociale di queste istituzioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA