Salute al primo posto, ma nella foresta dei fondi sanitari occorre fare pulizia

Salute al primo posto, ma nella foresta dei fondi sanitari occorre fare pulizia
di Marco Barbieri
Mercoledì 3 Marzo 2021, 11:41 - Ultimo agg. 12 Maggio, 15:24
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Ben prima che esplodesse l’emergenza sanitaria da Covid-19, la salute era un obiettivo primario da tutelare. Nell’ultima indagine condotta da Mefop la preoccupazione per la malattia e la non autosufficienza aveva raggiunto gli stessi valori riservati ai timori per la perdita di lavoro e per una pensione inadeguata. Era il 2019. Un anno prima della pandemia. Il problema è che a differenza del sistema della previdenza complementare, normato da 25 anni, con un soggetto vigilante (la Covip), il mondo della sanità integrativa rischia di essere visto come una palude. «Direi piuttosto una foresta – risponde Simone Bettini, presidente di Metasalute, il fondo sanitario di maggiori dimensioni, rivolto ai metalmeccanici – dove negli anni sono cresciute piante di tipo diverso, erbe officinali ma anche qualche pianta velenosa».

ACCUMULATORI DI LIQUIDITÀ

 Di certo esistono fondi con un rapporto spesa/prestazioni molto vicino al 100, altri che erogano “solo” il 30-40% dei contributi che incassano: “Accumulatori seriali di liquidità” commenta qualcuno, e forse – senza pensar male – devono essere richiesti di controlli e vigilanza. Ci sono fondi che gestiscono le prestazioni in autonomia e quelli che si affidano ai gestori assicurativi, introducendo legittimi obiettivi profit in un sistema costituito senza fini di lucro. L’obiettivo di una sanità integrativa efficace ed efficiente ha sostituito, tra le priorità, quello di una previdenza complementare adeguata. Non a caso si stimano che siano più di 13 milioni gli italiani iscritti a fondi sanitari integrativi (o che abbiano polizze assicurative o facciano ricorso a prestazioni di casse o società mutualistiche), mentre sono poco più di 8 milioni quelli iscritti ai fondi pensione. Il welfare aziendale ha tirato la volata. L’iniziativa principale riguarda infatti i fondi collettivi di categoria istituiti dai contratti collettivi di lavoro. Vi aderiscono il 26,3% (22% nel 2016) delle imprese e si confermano strumenti fondamentali per garantire coperture integrative. Oltre ad essi, è rilevante la quota di aziende che hanno sottoscritto polizze sanitarie integrative: 11%, il doppio del 2016. I fondi sanitari integrativi sono centinaia in Italia. Poco più di 300 quelli iscritti all’Anagrafe istituita presso il Ministero della Salute, l’unico obbligo richiesto per godere dei benefici fiscali offerti alla sanità integrativa.

Proprio l’Anagrafe ha predisposto un’indagine per definire un “Cruscotto di analisi delle prestazioni erogate dai Fondi sanitari”. C’è un problema di tassonomia delle prestazioni e uno di analisi quantitativa del mercato. L’indagine conclusa a novembre 2020 non ha ancora fornito l’atteso output. «L’iniziativa punta a raccogliere dati sulle fasce di popolazione effettivamente coperte dal sistema di sanità integrativa e sulle modalità e livelli di accesso al sistema e pone le basi per l’introduzione di un codice univoco di classificazione delle prestazioni tra primo e secondo pilastro» commenta Damiana Mastantuono di Mefop. Manca anche un dato certo sulla spesa sanitaria “privata”. Le stime: almeno 40 miliardi di spesa “di tasca propria” degli italiani per la salute (oltre ai 115 miliardi del Ssn). Ma quanti sono intermediati dai fondi o da altre forme di mutualità? Il sistema assicurativo dice non più del 10%. Meno secondo l’ultimo dato dell’Anagrafe, anno 2017: non più di 3 miliardi su 40. L’urgenza di questa analisi è parallela all’esplosione del fenomeno. «La sanità integrativa è stata per anni di nicchia – commenta Massimo Piermattei, direttore di una delle società di mutuo soccorso, Campa – negli ultimi 15 anni, sulla spinta del welfare aziendale e dei contratti collettivi di lavoro che prevedono l’iscrizione obbligatoria, è diventata una necessaria forma di protezione sociale».

LA FRONTIERA DIGITALE

Peraltro il sistema-salute in Italia contribuisce per il 10,7% al Pil ed occupa, considerando l’indotto, oltre 2,4 mln di addetti. E la filiera della salute “privata” (manifattura, commercio e servizi sanitari privati) rappresenta da sola, rispetto all’economia del Paese, il 4,9% del fatturato (144 miliardi di euro), il 5,8% dell’occupazione (circa 910.000 persone). I numeri testimoniano che la filiera della salute, è anche una delle principali aree di sviluppo dell’economia. Un ruolo strategico per riformare il sistema sarà svolto dalle tecnologie digitali. «L’insistenza di Mario Draghi sulla telemedicina ci fa ben sperare» commenta Bettini di Metasalute. Di certo la tecnologia è destinata ad aprire una stagione nuova nella sanità integrativa e nel mix pubblico-privato. Non da oggi c’è chi auspica la costituzione di un “fascicolo sanitario elettronico” per ogni cittadino, per evitare sovrapposizioni e scoordinamento nell’assistenza. I dati sono sempre più disponibili ma non possono essere dispersi. La foresta ha bisogno di sentieri. E di algoritmi. 

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