In digitale è tutta un'altra musica. E il mercato discografico vola: 100 milioni di ricavi nel 2021

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di Mattia Marzi
Mercoledì 1 Dicembre 2021, 11:24 - Ultimo agg. 21 Febbraio, 10:41
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Di dischi, in Italia, se ne vendono ormai pochissimi. A differenza di quanto avviene negli Stati Uniti, dove la RIAA – associazione di categoria dei discografici – certifica settimana dopo settimana il numero esatto di copie vendute, la corrispettiva italiana FIMI non fornisce i dati specifici.

Ad eccezione di artisti – tanto di vecchia quanto di nuova generazione – con fanbase imponenti, come lo possono essere quelle di Vasco Rossi o di Ultimo, capaci di permettere ai dischi fisici dei rispettivi idoli di superare le 30mila unità fisiche vendute nei primissimi giorni dopo l’uscita, oggi bastano numeri irrisori per conquistare la vetta della classifica settimanale degli album più venduti in Italia. Parliamo di cd e vinili. Vent’anni fa, prima dell’avvento del digitale, se un disco non fosse riuscito a superare la soglia delle 100mila copie vendute a distanza di un paio di mesi dall’uscita, sarebbe stato considerato un flop. Oggi non è raro che un disco riesca ad essere tra i più venduti della settimana con meno di 5mila copie fisiche.

IL BUSINESS

Come è possibile, allora, che i protagonisti del settore considerino ottimo lo stato di salute del mercato discografico (+34% rispetto al 2020 nel primo semestre del 2021 – dati FIMI tratti da un report sulla discografia mondiale dell’IFPI, organizzazione che rappresenta gli interessi dell’industria a livello globale)? La risposta è molto semplice: con Spotify e dintorni è cambiato tutto e il settore intero si è adattato ai cambiamenti tecnologici. I cd non si vendono più, le automobili e i pc di ultima generazione non hanno neppure i lettori per ascoltarli: è sul digitale che si fonda il mercato. Circa 250 milioni di euro il valore di quello italiano nel 2020 (21,6 miliardi di dollari il giro d’affari complessivo a livello mondiale), secondo la ricerca “La musica che €onta” condotta da AFI, associazione dei fonografici italiani, con Deloitte e GfK. È proprio grazie al digitale se il mercato dei dischi è riuscito a resistere all’impatto del Covid-19 sul music business, con lo stop ai concerti che ha determinato una crisi dei ricavi dei live (500 milioni di euro all’anno il valore del settore, in Italia) e del diritto d’autore (200 milioni di euro).

Con 100,2 milioni di euro (97,5 dei quali legati esclusivamente allo streaming), il digitale guida i ricavi del mercato discografico italiano nel primo semestre del 2021, un totale di 124,2 milioni di euro di introiti tra gennaio e giugno. Una cifra quattro volte superiore a quella del mercato fisico, il cui valore nel primo semestre del 2021 corrisponde a 24,1 milioni di euro. Si vendono meno dischi, ma paradossalmente cresce il numero degli artisti che hanno successi di vendita: nel 2020, riferisce la FIMI, sono stati 246 gli artisti italiani ad aver superato i dieci milioni di stream contro i 97 che nel 2010 avevano superato la soglia delle diecimila copie vendute tra fisico e download. I consumi digitali online hanno registrato una crescita negli abbonamenti premium (senza pubblicità tra un brano e l’altro e con possibilità di scaricare i dischi, oltre che ascoltarli online), i cui ricavi hanno superato i 104 milioni di euro: «In questo anno difficile si è di fatto conclusa la lunga fase di transizione digitale del mercato musicale italiano», commenta il ceo di FIMI Enzo Mazza. Oggi oltre l’80% dei consumi di musica registrata passa attraverso i servizi di streaming. Ma quanto vale uno stream? Quali sono i valori in campo per gli autori, gli editori, i produttori e gli artisti? I players cercano ancora risposte a queste domande: «Quello dello streaming è un mondo dove è davvero difficile districarsi. Addetti ai lavori, musicisti e artisti fanno fatica a comprendere certi meccanismi economici che stanno dietro al loro lavoro e di cui però vivono», commenta Paolo Franchini, presidente di FEM, che riunisce gli editori musicali. Secondo le stime, Spotify paga circa 0,003 dollari per stream ad un artista (mille ascolti equivalgono a 3 dollari): «Ma è un dato non attendibile. Le piattaforme gratuite generano infinitamente meno rispetto a quelle a pagamento. Stiamo parlando di una media di 15 volte meno», fa notare Eleonora Bianchi, Head of Digital Services & Consumption per Universal Music Italia. Non è un caso che negli ultimi anni gli artisti abbiano cominciato a cercare guadagni fuori dalla discografia tradizionale. Concerti (Eros Ramazzotti ha appena firmato un accordo con l’agenzia Vertigo che abbraccia discografia, concerti, sponsorizzazioni e diritti tv), ma non solo (si pensi all’overall deal siglato da Achille Lauro con Amazon). Se il futuro sembra un po’ distopico, con la tecnologia blockchain degli NFT che promette di rivoluzionare la discografia, il passato torna a bussare alle porte. Con i suoi 12,5 milioni di euro di ricavi contro i 10,8 del suo discendente, per la prima volta dopo tre decadi il vinile ha superato il cd anche in Italia, come già avvenuto oltreoceano. Dove nel 2020 le vendite dei vinili hanno raggiunto la bellezza di 232,1 milioni di dollari di guadagni. Insomma, la rivoluzione può attendere. 

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