Papa Francesco decreta: tutta la liquidità del Vaticano nelle casse dello Ior

Il torrino sede dello Ior
Il torrino sede dello Ior
di Rosario Dimito e Franca Giansoldati
Mercoledì 5 Ottobre 2022, 15:13 - Ultimo agg. 6 Ottobre, 07:59
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Venerdì 30 settembre è una data che per i dicasteri vaticani dotati di portafoglio rappresenta uno spartiacque: era infatti il termine tassativo stabilito dal Papa entro il quale trasferire all’Istituto per le Opere di Religione (Ior) tutti i fondi di loro pertinenza depositati in altre banche.

In pratica, i cardinali e i vescovi che guidano gli enti curiali hanno dovuto estinguere tutti i conti accesi nel tempo presso istituti bancari esteri, soprattutto italiani, dove giacevano i fondi destinati a coprire le spese più varie, dai convegni agli imprevisti di gestione, dalle ristrutturazioni immobiliari ai progetti legati alla carità. Tutto regolare e rendicontato, anche se non sono mancati episodi di sperpero, a volte addirittura per interesse personale di cui si è letto nelle cronache giudiziarie. Per i ministeri del Papa avere a disposizione più conti correnti, oltre ai principali presso lo Ior e l’Apsa (la società-forziere custode del patrimonio della sede apostolica), ha sempre fatto parte di una strategia mirata da ascrivere alla possibilità di tassi più vantaggiosi rispetto a quelli garantiti dalle due banche vaticane, oltre all’esigenza di diversificare in via prudenziale gli investimenti.

PASSO INDIETRO DELL’APSA

Anche lo Ior aveva cerchiato sul calendario il 30 settembre, perché a partire da quel giorno nelle sue casse si sarebbe riversata una montagna di denaro, stimata in oltre un miliardo di euro, considerando che ad essere dirottati verso il Torrione Niccolò V ci sono anche i fondi dei ministeri più importanti, tradizionalmente dotati di ingenti risorse a cominciare dall’ex Propaganda Fide che gestisce le missioni estere in tutto il mondo, amministrando uno dei più considerevoli patrimoni immobiliari di Roma: nella Capitale, grazie a importanti lasciti ottenuti nei secoli da famiglie patrizie, l’ex Propaganda Fide possiede interi palazzi nel centro storico affittati a prezzi di mercato. Ha trasferito tutto allo Ior anche la Congregazione per le Chiese Orientali, realtà da sempre dedicata a sostenere le comunità cattoliche in Medio Oriente con centinaia di progetti umanitari ogni anno. Pure il Governatorato, che controlla i magazzini, il reparto filatelia e numismatica e, soprattutto, i Musei Vaticani, il vero bancomat d’Oltretevere che movimenta ogni mese milioni di euro, ha dovuto rispondere alla chiamata. Ma la novità più dirompente riguarda l’Apsa: da realtà finanziaria sostanzialmente autonoma, da sempre definita la cassaforte del Papa, è stata costretta a un passo indietro e cedere allo Ior tutti i portafogli finora gestiti. Compreso l’Obolo di San Pietro e i fondi riservati della Segreteria di Stato, già terreno di scontro quattro anni fa nella disgraziata vicenda del Palazzo di Londra e tuttora al centro di un processo particolarmente sofferto. In un primo momento il Papa, stanco di liti interne tra la Segreteria di Stato e lo Ior, aveva trasferito – siamo nel 2020 – la gestione dell’Obolo e dei fondi riservati all’Apsa. Che cosa sia accaduto in seguito, così da convincere Francesco della necessità di ribaltare tutto, è materia d’indagine, sebbene si tenda a spiegare il cambio di direzione con una semplice “razionalizzazione funzionale”. Sta di fatto che in pieno agosto e senza alcuna avvisaglia si è compiuto il blitz che ha portato a trasformare lo Ior, guidato da Gianfranco Mammì, uomo di stretta fiducia di Papa Bergoglio fin dai tempi di Buenos Aires, nel forziere-crocevia che d’ora in poi avrà il compito di custodire e amministrare tutte le finanze d’Oltretevere.

Emanato il 23 agosto, e per questo passato un po’ in sordina, il Rescriptum ex audientia - l’equivalente di un decreto legge - rappresenta con le sue cinque disposizioni uno degli atti di maggiore rilievo per quanto riguarda la politica finanziaria vaticana: non a caso è firmato “Franciscus”, ovvero il capo dello Stato. Il che significa che lo scopo è risolvere un problema grave. Forse la tenuta finanziaria dello Ior? Vista la dinamica dell’operazione e le cifre in gioco nulla si può escludere. L’Istituto delle Opere di Religione, nel secolo scorso coinvolto in più di uno scandalo finanziario, dopo aver trascorso l’ultimo decennio a ripulire i suoi libri contabili e a liberarsi della sua reputazione di paradiso fiscale, ha dovuto anche ridurre il ricco portafoglio di clienti: attualmente sono 14.519, ristretti a prelati, dipendenti, congregazioni religiose, uffici curiali, ambasciate accreditate in Vaticano.

Inoltre, vanta asset per 5,1 miliardi in gestione e nel 2021 ha realizzato profitti per 18,1 milioni, come l’anno prima ma entro un trend in forte calo rispetto alle gestioni precedenti a quella di Mammì. Basti dire che un anno andò così bene che fu donato al Papa un assegno di 50 milioni per le sue attività caritatevoli.

L’ASSEGNO DA 6 MILIONI

Lungi dall’essere considerato lo sterco del demonio, in Vaticano il denaro è necessario non solo per sostenere opere di bene, ma per pagare una burocrazia curiale particolarmente onerosa: per gli oltre 4mila dipendenti ogni mese l’Apsa stacca un assegno di oltre 6 milioni, nonostante la politica di austerità imposta da Francesco. Che dietro le mura pontificie ci sia qualche problema economico è provato anche dalla preoccupata dichiarazione del capo della Segreteria dell’Economia (Spe), il gesuita Guerrero Alves, secondo cui «per il futuro si prospetta un tempo molto incerto. Non abbiamo molte variabili su cui operare per affrontare la crisi - ha osservato in agosto Alves - Non abbiamo politica fiscale né monetaria, né controllo su gran parte dei ricavi. La situazione mondiale ci pone nuove sfide». Ancora padre Alves: «Il tempo dei sacrifici non è finito, il 2023 sarà un anno particolarmente difficile. Non c’è da stare molto allegri, nonostante la pressione del Covid sia diminuita».

La Spe è il centro che controlla le spese e le entrate di tutti gli organismi curiali, eccetto lo Ior che resta di fatto autonomo in ogni sua decisione, sottoposto solo alla valutazione dell’Authority sull’antiriciclaggio. Dunque, davvero la mossa di Papa Francesco di trasferire tutto il denaro allo Ior rappresenta solo una riorganizzazione funzionale? Oppure serve, come più probabile, a garantire la liquidità necessaria a coprire il momento di difficoltà? In ogni caso, il nuovo corso dello Ior verrà affrontato a fine ottobre dai cardinali che compongono il C6 (il Consiglio che affianca Francesco nel governo dello Stato), i quali da tempo sono preoccupati per il costante calo delle entrate causato dal Covid e per il crollo del turismo, mentre le spese interne restano molto alte, soprattutto quelle relative al personale.

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