Rieccoci a casa.
Nessuno pronuncia la parola che abbiamo imparato a odiare – lockdown – ma appena ti ritrovi con il tampone positivo sai che devi startene chiuso in casa. Chi ti conosce ti evita; se sei fortunato qualche breve telefonata interrompe la clausura. La visita del postino potrebbe diventare un evento. Oddio, si sa, quando viene il postino a casa c’è sempre qualcosa da pagare. Quello che suona due volte rimane nell’orizzonte letterario e cinematografico. Il problema vero è che non suona più, nemmeno una volta. Dopo due settimane di forzata cattività domestica – perché mai ho fatto il tampone! – faccio visita alla casella postale. Per età sono legato alle abitudini cartacee. Ormai si trovano solo cose inutili: depliant improbabili che pubblicizzano prodotti che credevamo estinti, richieste per l’otto (e il cinque) per mille, biglietti che annunciano lo smarrimento di un gattino o un cagnolino. Frugando trovo due strisciate bianche che mi invitano a ritirare all’Ufficio postale qualche missiva che non è stato possibile recapitare.
Possibile? Sono quindici giorni che tendo l’orecchio per ricevere distrazioni e il postino è arrivato fino alla cassetta postale senza suonare il citofono? Prima scatta la delusione.