Ance, Buia: «Ci sono due tecnocrazie che bloccano gli appalti»

Ance, Buia: «Ci sono due tecnocrazie che bloccano gli appalti»
di Nando Santonastaso
Mercoledì 26 Maggio 2021, 08:52
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Presidente Buia, le ipotesi di modifica del Codice degli appalti contenute nella bozza del nuovo Decreto semplificazioni scontentano i sindacati e una parte della politica: e voi costruttori?
«Noi nel testo circolato in questi giorni non abbiamo trovato niente che semplifichi veramente - risponde Gabriele Buia, presidente dell'Ance, l'Associazione nazionale dei costruttori edili -. Le problematiche che da tempo abbiamo sottoposto al legislatore, e cioè la necessità di intervenire a monte delle gare di appalto e non nell'iter, sono rimaste senza risposta. Ci aspettavamo molto di più, penso che ci sia stato un passo indietro rispetto agli accordi di programma con Anas e Rete Ferroviaria Italiana».


Il modello dei commissari per le grandi opere pubbliche, con i maggiori poteri loro riconosciuti per accelerare le procedure, non vi convince?
«Intanto alla fine bisogna capire quali deleghe e dunque quali poteri avranno i commissari.

Ma poi era auspicabile un cambiamento radicale, e non solo fino al 2026: c'era e c'è bisogno, insomma, di procedure diverse in grado di accompagnarci anche oltre quella scadenza».


Perché, secondo lei, la proposta di intervenire a monte delle gare non viene presa in considerazione? Chi frena, presidente?
«È indubbio che la tecnocrazia e i ministeri direttamente competenti, come l'ex Ambiente e quello dei Beni culturali, abbiano finora influito parecchio. Come pure le enormi lungaggini, oltre due anni e mezzo, per ratificare in Parlamento l'Accordo di programma con Anas e Rfi, mentre noi auspicavamo da parte della politica ben altra speditezza e concretezza. Ora però che si è finalmente capito che bisognava intervenire con urgenza sulle semplificazioni, siamo ancora alle parole. Anziché accelerare per cambiare il Paese si continua a discutere delle procedure delle gare».


Voi e Confindustria siete sulla linea di non stravolgere il Codice degli appalti, ma nel governo ci sono spinte molto diverse, Lega in testa. Come farà Draghi a mediare?
«Draghi ha un compito difficile ma ormai questo Codice è stato contestato da tutti: noi da anni, e si pensava che la nostra posizione fosse strumentale. Solo che nessuno ipotizza ancora un Codice veramente diverso. Si preferisce ricorrere a misure di semplificazione, come quelle dello Sblocca-cantieri o dei decreti Semplificazione 1 e 2 mentre la vera necessità oggi è un'altra. Adesso bisogna atterrare le opere, farle cioè partire».


Ma come?
«A questo punto utilizziamo le norme che ci sono, come quelle previste dall'ultimo Decreto sostegni, purché si faccia in fretta perché altrimenti rischiamo di non utilizzare le risorse del Recovery Plan. In sostanza, apriamo i cantieri, applichiamo i Decreti Semplificazione 1 e 2 e parallelamente discutiamo di un nuovo Codice degli appalti più in linea con le normative europee».


Ma su massimo ribasso e subappalto in chiave europea la polemica è già esplosa.
«È una polemica strumentale, nata forse proprio per impedire certi cambiamenti. Il massimo ribasso, per quanto riguarda l'appalto integrato, ha ripreso effettivamente la norma europea che peraltro la stessa Ue ci chiede da tempo di adottare. È vero, noi abbiamo sempre detto di no al massimo ribasso per ragioni di trasparenza, soprattutto, e non abbiamo cambiato idea: ma intanto negli altri Paesi europei la norma c'è mentre noi scontiamo l'inerzia della Pubblica amministrazione che all'estero determina veramente se un'offerta è anomala e troppo alta e in tal caso la scarta. In Italia questo non è mai accaduto: la Pa non fa queste scelte per paura del danno erariale e dell'abuso di ufficio».


E in materia di subappalto?
«Anche qui, non abbiamo mai chiesto la liberalizzazione del subappalto e mai la chiederemo. Ma è indubbio che oggi il subappaltatore dell'opera pubblica ha gli stessi controlli dell'impresa principale su possibili infiltrazioni della criminalità. Morale: la volontà di non risolvere i problemi a monte fa sì che l'Europa, stanca di questi continui rallentamenti, arrivi al punto da imporre le sue norme di imperio, che ci piacciano o meno. E se noi non le attueremo, rischieremo una penalità del 5% sui soldi del Recovery Plan perché sarà considerata un'infrazione a tutti gli effetti. Già nel 2019 l'Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia Ue sul subappalto: ma da allora ad oggi non abbiamo adottato alcun provvedimento».

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