Il presidente dell'Abi Antonio Patuelli: «Economia dinamica al Sud, bene i prestiti alle imprese»

«Dobbiamo trasformare l'Italia intera in un'unica grande Zes o in 20 Zes, una per regione, senza escludere alcun territorio»

Il presidente dell'Abi Antonio Patuelli
Il presidente dell'Abi Antonio Patuelli
di Nando Santonastaso
Domenica 9 Aprile 2023, 09:00 - Ultimo agg. 10 Aprile, 09:20
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Presidente Patuelli, gli ultimi dati Abi sul mercato del mercato del credito confermano la tendenza alla ripresa in Campania e nel Sud: di cosa parliamo esattamente?
«Nel 2022 il totale dei prestiti concessi dalle banche al Sud è aumentato del 2,7% in Campania e nel Sud-Isole del 2,5% rispetto al +1,8% della media nazionale risponde Antonio Patuelli, presidente dell'Associazione bancaria italiana -. In particolare, i prestiti alle imprese sono cresciuti del 2,7% in Campania e del 2% nel Sud-Isole a fronte di un calo dello 0,4% della media nazionale, a dimostrazione del fatto che nella regione e nel Mezzogiorno sono ripartiti gli investimenti sostenuti dalle banche».

E le famiglie?
«I prestiti alle famiglie consumatrici hanno raggiunto sempre in Campania il 4,3% di aumento, superiore al 4% della media Italia.

E anche questo dato, come il precedente, conferma la dinamicità dell'economia regionale e meridionale in generale nella quale la forte accelerazione dell'edilizia e il rilancio del turismo, dopo due anni terribili, hanno sicuramente inciso in modo determinante».

Per restare alle banche, novità sulla rischiosità del credito, storico tallone d'Achille del Sud?
«Le sofferenze lorde registrate lo scorso anno in Campania e nella macroarea meridionale sono cresciute complessivamente del 3,1% rispetto all'1,7% della media nazionale. Per le imprese il dato arriva al 4,2% rispetto al 2,7% della media Italia: è ancora un dato elevato ma in discesa e soprattutto non più multiplo di quello nazionale al quale eravamo purtroppo abituati fino a pochi anni fa».

E i dati sui depositi di imprese e famiglie?
«In Campania il totale è aumentato dell'1% e dell'1,7% al Sud-Isole rispetto al meno 0,5% della media Italia mentre quello delle famiglie consumatrici è cresciuto dello 0,8%, leggermente meno della media nazionale».

Come si legge quest'ultimo dato?
«È la conferma che anche in Campania e nel Mezzogiorno si sta verificando uno spostamento dai depositi agli investimenti: con i tassi bancari azzerati, com'è accaduto negli ultimi dieci anni, non conveniva acquistare titoli di Stato a breve termine e dunque l'investitore non aveva motivo di smobilizzare i propri risparmi. Dal luglio del 2022 invece i tassi sono risaliti, le emissioni di titoli di Stato si sono adeguate e le banche hanno ripreso ad offrire opportunità di investimenti a tempo. I rendimenti sono aumentati e la loro attrazione è sicuramente cresciuta. I depositi, insomma, si sono ridotti non solo perché il titolare è diventato più povero ma anche perché li ha investiti. Non a caso, l'ultimo Bollettino di Banca d'Italia dice che dall'inizio dell'anno la Borsa è crescita del 17% ed è difficile che il merito, per così dire, sia solo dei Fondi di investimento».

Si può dunque essere meno pessimisti sull'attuazione del Pnrr che soprattutto al Sud sembra creare più allarme che convinzione di riuscire a spendere le risorse?
«Il Pnrr evidenzia un problema strutturale nel modo di legiferare in Italia. C'è una tendenza alla sovrapposizione di nuove norme a vecchie norme senza abrogazioni esplicite, ecco il punto. Un tempo c'erano i Codici, i Testi unici di tutto. Oggi sono andati in desuetudine, le normative in vigore sono spesso difformi l'una dall'altra e le abrogazioni, come detto, sempre più rare. Non credo che tutta la burocrazia sia lenta: è invece gravata, a mio giudizio, da una legislazione immensa nella quale le norme si accavallano le une alle altre senza che le precedenti siano eliminate. Cresce dunque, inevitabilmente, la cautela nella ricerca della sicurezza».

Sembra una dichiarazione di resa
«Nient'affatto. Il problema non è il Pnrr che al contrario dispone di risorse e investimenti per lo sviluppo del Paese. È la messa a terra che impatta con queste difficoltà perché qualsiasi investimento deve fare i conti con una normativa sterminata e dunque è costretto a rallentare. Non credo che si debba parlare di una burocrazia svogliata o inefficiente in senso assoluto: la verità è che è sommersa dalle norme, dalla loro complicata interpretazione, dal ricorso a circolari applicative e quant'altro ma quasi mai si indica in una nuova legge di quali norme precedenti si deve fare a meno. Di fatto, quando arrivano fondi ordinari o straordinari dall'Unione europea l'Italia fa fatica a spenderli e non perché siamo un popolo di oziosi o di gente stravagante».

È anche per questo che la Pubblica amministrazione fa fatica a reclutare nuovo personale?
«Non c'è dubbio. Per questo a mio giudizio il governo farebbe bene a inserire la semplificazione normativa tra gli obiettivi prioritari di questa fase. Il Ponte Morandi di Genova è stato ricostruito a tempo di record perché aveva una legislazione speciale».

Non potrebbe allora aiutare l'esempio delle Zes, con l'autorizzazione unica per gli investimenti, magari da esportare a tutto il Paese?
«Bisognerebbe estenderle a tutti i territori delle regioni: l'esempio è calzante ma dobbiamo trasformare l'Italia intera in un'unica Zes o in 20 Zes, una per regione, senza escludere alcun territorio. E allora sì che la semplificazione delle procedure diventerebbe possibile e i fondi europei del Pnrr si metterebbero a terra in tempi decisamente brevi. Il groviglio normativo compromette l'attuazione del Pnrr». 

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