Automotive, Giovanni Baroni: «Rischio bomba sociale senza filiera dell’auto»

Il vicepresidente di Confindustria: «La Ue non ha considerato l’impatto economico»

Automotive, Giovanni Baroni: «Rischio bomba sociale senza filiera dell’auto»
Automotive, Giovanni Baroni: «Rischio bomba sociale senza filiera dell’auto»
di Umberto Mancini
Domenica 12 Giugno 2022, 00:07 - Ultimo agg. 09:55
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«Migliaia di posti di lavoro in pericolo e una filiera industriale che rischia di scomparire». Giovanni Baroni, presidente Piccola Industria e vice presidente di Confindustria, va all’attacco della decisione del Parlamento europeo che blocca le auto a benzina e a metano dal 2035, privilegiando solo le vetture elettriche.

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Presidente Baroni, la filiera automotive italiana è in grande allarme per la conferma dello stop al motore endotermico. Il ministro Giorgetti ha parlato di eutanasia, di scelte sbagliate dell’Europa, che ne pensa?
«Il voto espresso dal Parlamento europeo sembra prescindere da ogni considerazione sugli impatti economici e sociali e per la prima volta nella storia viene scelta per legge una tecnologia senza che il mercato e il progresso l’abbiano selezionata». 


E cosa fare allora?
«Condividiamo la necessità di obiettivi green ma serve gestire una transizione così importante con tempi e modi corretti». 


Altrimenti un intero comparto industriale potrebbe scomparire se si punta solo sull’elettrico?
«Certo.

Sono in pericolo 70mila posti di lavoro, parliamo di un rischio sociale enorme. Va mantenuta la centralità della nostra industria automobilistica supportando gli investimenti della filiera dedicati alla transizione sia in termini di risorse che di strumenti, anche per favorire lo sviluppo di nuove competenze». 


Ma quali sono le priorità della Piccola Industria che lei rappresenta?
«C’è la necessità di potenziare e incentivare le filiere e le aggregazioni, perché è in atto un processo di reshoring a livello europeo che va sostenuto. Inoltre, serve accompagnare le Pmi verso la transizione green e digitale, anche favorendo l’inserimento dei giovani con nuove competenze, che ancora fatichiamo a trovare. È decisivo definire una politica industriale e strumenti di carattere fiscale e finanziario che consentano di impostare investimenti su orizzonti di tempo sufficientemente ampi. L’industria deve tornare al centro dell’agenda politica perché è un fattore di sicurezza nazionale, lo abbiamo visto con il Covid e con la guerra in Ucraina».


Il salario minimo è davvero così urgente da introdurre o forse non sarebbe meglio ripensare il reddito di cittadinanza?
«Sicuramente il Reddito di cittadinanza è da ripensare. Abbiamo sempre detto che è uno strumento utile nel contrasto alla povertà ma che, come confermano tutti i dati, non ha funzionato sulle politiche attive. Quanto al salario minimo è un tema che non ci riguarda perché nei contratti nazionali firmati da Confindustria anche le qualifiche più basse prevedono cifre superiori ai 9 euro lordi l’ora del salario minimo». 


Non sarebbe meglio mettere mano al cuneo fiscale eliminando una pletora di bonus?
«Certamente ed è l’unica soluzione per aumentare il potere di acquisto dei salari. Da tempo abbiamo proposto un taglio del cuneo fiscale di 16 miliardi, distribuito per due terzi sui lavoratori e per un terzo sulle imprese. E’ un intervento che garantirebbe ai lavoratori sotto i 35mila euro fino a 1223 euro in più, una mensilità aggiuntiva, per tutta la vita lavorativa. I bonus a pioggia sono soluzioni tampone e non risolvono i problemi alla radice. Servono misure strutturali come un taglio deciso al costo del lavoro».


Caro energia, inflazione in salita e il rialzo dei tassi a luglio, come faranno i piccoli a salvarsi?
«Se aggiungiamo rincaro e scarsità di materie prime e componenti, il quadro è impressionante. Tuttavia, resto ottimista perché le Pmi italiane hanno mostrato una grande capacità di adattamento. Chiediamo alla politica che i nostri sforzi per investire e spingere la competitività italiana non vadano puntualmente frustrati. Finora gli aumenti, invece di scaricarli sui consumatori, sono stati assorbiti dalla filiera e il rialzo più contenuto dell’inflazione in Italia ne è la testimonianza, ma è una situazione insostenibile alla lunga».


E c’è il tema del debito.
«Se guardiamo poi al debito delle imprese la conferma del rialzo dei tassi della Bce a luglio e l’andamento del BTP a 10 anni in Italia, (che è salito a giugno al 3,33%, da 0,97 a dicembre 2021) costituiscono due grandi segnali di allarme. Il tasso pagato dalle imprese, infatti, che da anni è ai minimi (in aprile 1,85% per le Pmi sulle nuove operazioni, 0,87% per le grandi), rischia di subire un rialzo. Ciò aggraverebbe ancora di più la situazione finanziaria, già complicata per le aziende italiane». 


Le pmi di Confindustria si riuniranno il 17 giugno Bari per le Assise della Piccola Industria. Da dove nasce l’esigenza di serrare le file e cosa vi proponete?
«Abbiamo ritenuto essenziale, in questo momento, un percorso di ascolto e condivisione della nostra base. Tra aprile e maggio abbiamo realizzato una roadmap sul territorio che ha coinvolto migliaia di imprenditori. Ci siamo confrontati su 4 driver: competenze; finanza e crescita; digitale e fisico; sostenibilità e transizione green. Alle Assise di Bari presenteremo una serie di proposte per il rafforzamento delle Pmi che auspichiamo diventi uno degli assi portanti dell’agenda di politica economica del Paese, evitando sbandate o paralisi pre-elettorali. Le Pmi sono l’ossatura del nostro sistema produttivo, un pilastro fondamentale per la tenuta economica e sociale del Paese, abbiamo il dovere di sostenerle e rafforzarle, anche perché sapranno restituire ai territori e alle comunità in cui operano molto di più di quanto ricevuto».

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