Autonomia, tutte le falle della riforma: la legge quadro riporta in vita le vecchie intese

Poche garanzie al Centro-Sud, non è scongiurato il “residuo fiscale”

Autonomia, tutte le falle della riforma: la legge quadro riporta in vita le vecchie intese
Autonomia, tutte le falle della riforma: la legge quadro riporta in vita le vecchie intese
di Andrea Bassi
Giovedì 19 Gennaio 2023, 00:01 - Ultimo agg. 11 Settembre, 10:33
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La bozza della legge sull’autonomia contiene molte contraddizioni. Diverse falle e, usando un linguaggio preso a prestito dalla tecnologia, alcune «back doors», delle porte nascoste dalle quali potrebbero rientrare vecchie pretese che, almeno a parole, non dovrebbero più essere sul tavolo.

La bozza, dunque, va letta in controluce. Tra le righe. In diversi punti sembra aprire alle istanze che vengono dal Centro e dal Sud, cone sui Lep, i livelli essenziali di prestazione. Che però dovranno solo essere “definiti” e non anche “garantiti”. La realtà è che la bozza di legge sull’autonomia resta fermamente ancorata alle “pesanti” richieste formalizzate da Veneto e Lombardia con le pre-intese del 2019, quelle che allora furono ribattezzate come la «secessione dei ricchi».

Il vero peccato originale della legge. Ci sono alcuni passaggi che val la pena sottolineare. Innanzitutto la norma contenuta nell’articolo 11 che non solo non disconosce i vecchi accordi, ma li riporta in vita. «Le disposizioni della presente legge», dice l’articolo 11, «si applicano, in relazione ai rispettivi livelli di avanzamento formalizzato, anche agli atti di iniziativa delle Regioni presentati al governo e concordati con il medesimo prima della data di entrata in vigore della presente legge».

Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali (foto LAPRESSE)

Ma soprattutto quanto previsto dall’articolo 4 e dall’articolo 6, quando si parla di trasferimento di persone e risorse dallo Stato alle Regioni, il vero cuore delle richieste del Nord. I conteggio delle risorse da trasferire verrà inizialmente fatto sulla base dei costi storici, da quanto speso cioè dallo Stato nella Regione. E nel Nord storicamente lo Stato ha speso di più. Nell’articolo 4 c’è anche una sorta di clausola di salvaguardia al contrario, che mette le intese al di sopra della stessa legge sull’autonomia. Qualsiasi norma sulle risorse, insomma, non sarà valida se nelle intese ci sarà scritta una cosa diversa. Le intese, poi, andranno finanziate con cessioni di tributi erarilai maturati nel territorio o compartecipazioni alle aliquote. Una back door che potrebbe permettere il rientro del residuo fiscale chiesto da Veneto e Lombardia al tempo dei referendum regionali. 

I Lep senza risorse/I soldi al Nord, il Sud invece può attendere

La contropartita promessa in cambio dell’autonomia chiesta da Lombardia e Veneto, sono i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni. I servizi «minimi» che vanno assicurati, per le materie che saranno trasferito, su tutto il territorio nazionale ai cittadini.

Soprattutto quelli del Centro-Sud che per decenni, hanno ottenuto meno risorse e servizi peggiori. Ma i Lep rischiano di essere soltanto una foglia di fico per accelerare il proggetto autonomista. L’articolo 4 della bozza di legge quadro, infatti, prevede che le Regioni del Nord che hanno chiesto il trasferimento delle competenze, potranno ottenere le risorse, le funzioni e i fondi, nel momento in cui i Lep saranno «determinati». Si badi bene, non «garantiti», ma semplicemente enunciati. La differenza è sostanziale. Basterà, per fare un esempio, stabilire che a un certo numero di alunni debbano poter accedere al tempo pieno, senza però stanziare nemmeno un euro per assumere insegnanti e personale per garantire questo diritto. Il finanziamento dei Lep, dice la bozza, è rinviato alle manovre. Non è una garanzia granitica. Nelle manovre di fine anno vanno finanziati molti interventi, dai rinnovi dei contratti pubblici, alle misure contro il caro bollette. E quest’anno c’è da affrontare la riforma delle pensioni. Il finanziamento dei Lep, insomma, si troverebbe a dover competere con molte altre priorità finanziarie. Definire i Lep, insomma, non basta. I diritti devono essere garantiti. 

Le garanzie mancanti/Il Parlamento messo all’angolo, avanti coi Dpcm

Sull’autonomia c’è fretta. Tanta. È come se si trattasse di un’emergenza nazionale. Prendiamo i Lep che, come detto, vanno solo «definiti» per poter procedere al trasferimento di risorse alle Regioni del Nord. Per fare presto si andrà avanti a colpi di Dpcm, decreti del presidente del Consiglio. Come faceva Giuseppe Conte durante la pandemia. Sui Dpcm, del resto, il Parlamento non può mettere bocca e nemmeno la Corte Costituzionale, essendo atti amministrativi. Dei diritti fondamentali dei cittadini se ne potranno occupare al massimo i Tar. Ma il passo di carica non riguarda solo i Lep, ma anche il percorso disegnato dalla legge quadro per arrivare all’autonomia. Un passo ogni 30 giorni: le Regioni trasmettono la richiesta al governo: 30 giorni al Tesoro per individuare le risorse finanziarie da assegnare. Poi si avvia la trattativa. Una volta scritta, l’intesa va trasmessa alla Conferenza unificata che ha, di nuovo, 30 giorni per dare un parere. Ottenuto il parere toccherà alla Commissione parlamentare per le questioni regionali: altri 30 giorni per esaminare il testo ed esprimere un giudizio sempre non vincolante. A questo punto si passerà all’intesa definitiva, che potrà tenere conto o meno dei vari pareri. Siglata l’intesa, questa andrà trasmessa al consiglio dei ministri che, di nuovo, avrà 30 giorni per deliberare un disegno di legge di approvazione da trasmettere alle Camere. Che a quel punto potranno solo prendere o lasciare senza poter modificare nulla. 

La pretesa dei fondi/Spesa storica. E lo Stato perde Irpef e Iva

I soldi sono uno dei punti, se non il punto centrale, dell’autonomia differenziata. I referendum di Lombardia e Veneto sono stati condotti con la promessa di “trattenere” sul territorio i nove decimi del gettito fiscale prodotto nelle due più ricche Regioni d’Italia. È quello che si chiama il “residuo fiscale”. Ora viene garantito che il residuo fiscale non sarà contemplato dalle intese. Ma è vero? A disciplinare la questione delle risorse sono gli articoli 4 e 6 della legge quadro. Partiamo dal primo. Prevede che per quantificare le risorse, in attesa della determinazione dei fabbisogni standard, si prenderanno come riferimento i costi storici. È un problema, visto che le risorse spese nelle Regioni del Nord sono “storicamente” superiori a quelle impiegate nel Centro-Sud. Ma in che modo saranno trasferite le risorse alle Regioni per finanziare la gestione delle nuove competenze? L’articolo 6 parla di «compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale o riserva di aliquote». Significa che lo Stato cederà un pezzo di Iva o di Irpef a Veneto e Lombardia. La domanda allora è un’altra. Cosa accade se, per esempio, la spesa rimane ferma ma il gettito di queste imposte sale creando un extragettito? Nelle vecchie intese, “resuscitate” tra le altre cose dall’articolo 11 della bozza di legge quadro, prevede che queste risorse aggiuntive siano sottratte allo Stato per rimanere nelle Regioni. In questo modo il residuo fiscale uscito dalla porta rientrerebbe dalla finestra.

I costi nascosti/Lo svuota-Roma e il Tesoro tagliato fuori dai controlli

’articolo 11 della bozza di autonomia differenziata, «resuscita» le vecchie intese, quelle del 2019. «Le disposizioni della presente legge», si legge infatti nella bozza, «si applicano, in relazione ai rispettivi livelli di avanzamento formalizzato, anche agli atti di iniziativa delle Regioni presentati al Governo e concordati con il medesimo prima della data di entrata in vigore della presente legge». Si tratta di un passaggio centrale. In quelle intese, va ricordato, c’era la cosiddetta norma «svuota-Roma». Una norma che prevedeva tagli al personale dei ministeri per tener conto delle competenze trasferite alle Regioni. Ma nella bozza c’è anche un altro passaggio “delicato”. Quello previsto nell’articolo 8, che si occupa del «monitoraggio delle intese». Nelle bozze del governo Draghi, quando a guidare il ministero delle Attività Regionali c’era Mariastella Gelmini, le verifiche sugli effetti per i conti pubblici delle intese, erano delegate al ministero dell’economia e all’Ufficio Parlamentare di Bilancio, l’Authority riconosciuta anche dall’Europa per le verifiche sulla finanza statale. Nella nuova bozza, invece, i controlli sono demandati ad una commissione paritetica tra Stato e Regioni. Una commissione che, secondo le vecchie intese (resuscitate) dovrebbe essere composta da 9 membri nominati dal governo e 9 dallo Stato. Anche sulla sostenibilità dei conti, insomma, bisognerà trattare con le Regioni autonomiste. 

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