È nata nello stesso anno dell'affondamento del Titanic, il 1912. Ha attraversato due guerre mondiali, la soppressione prima e la ricostituzione poi della provincia di appartenenza, quella di Caserta, per non parlare di congiunture economiche favorevoli e critiche, dalla lira all'euro. Ma ha sempre chiuso il bilancio in attivo. Centosette volte su 107, mai un passivo. Un primato probabilmente non solo italiano. Eppure, alla fine, anche la Banca Capasso Antonio, scritta proprio così, cognome prima e nome dopo, storico punto di riferimento dell'area che da Alife, nell'Alto casertano, abbraccia anche il Telesino nella contigua provincia di Benevento, ha deciso di passare la mano.
Annunciato ieri l'acquisto dell'intero capitale sociale da parte del gruppo Ibl Banca, lo stesso che pochi giorni fa ha anche acquisito un'altra antica banca casertana, quella di Sconto e Conti correnti di Santa Maria Capua Vetere. Una scelta, ha spiegato l'Istituto bancario che ha costruito le sue fortune soprattutto nel ramo dei finanziamenti tramite cessione del quinto dello stipendio (21,1 milioni di utile netto nei primi nove mesi 2020, 3,2 miliardi di impieghi, 700 dipendenti e 54 filiali in tutto il Paese), che ha nella diversificazione del business l'obiettivo dichiarato. «La forte spinta verso le aggregazioni bancarie - dice l'amministratore delegato di Ibl Banca, Mario Giordano - impone un nuovo modo di fare impresa che permetta alla banca di competere pur rimanendo ancorata ai propri territori di origine».
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E quest'ultima è proprio la missione che in 108 anni la Banca Capasso Antonio ha sempre difeso e rafforzato anche quando, come negli ultimi anni, il tema delle aggregazioni bancarie ha preso inevitabilmente il centro della scena, riducendo sempre di più i margini per così dire di autonomia territoriale delle piccole realtà creditizie locali, ancorché efficienti e bene organizzate. La banca di Alfe, non a caso, è arrivata alla cessione con numeri importanti: un Ter 1 ratio (il parametro che misura la solidità patrimoniale) al 47,66 per cento, con oltre 32 milioni di euro di fondi propri e crediti alla clientela per circa 60 milioni di cambiamenti. La gestione, affidata ai nipoti del fondatore, Salvatore (ad in carica) e Rosa Capasso, nonché ai loro cugini Ferdinando e Domenico Parente, titolari tutti e quattro del dieci per 100 delle quote azionarie, è andata avanti su binari di prudenza e al tempo stesso di oculata visione.
Una storia d'altri tempi, forse, se non fosse che a questa realtà tutti gli abitanti della zona, non solo i correntisti, si sono sempre sentiti particolarmente affezionati. «Noi cerchiamo di assecondare e favorire lo sviluppo del territorio di cui siamo parte - ha ripetuto sempre Salvatore Capasso nelle rare interviste di questi anni - Ai dipendenti diamo premi di rendimento ma non li sto a stressare per raggiungere a tutti i costi gli obiettivi, andiamo avanti con il buon senso delle cose anche se oggi il buon senso si scontra con le regole del mercato». A partire dai tassi zero e non solo. Un mondo nuovo e ricco incognite si è aperto quasi improvvisamente davanti agli occhi di chi per oltre un secolo ha accompagnato con libretti di risparmio, strette di mano e fiducia migliaia di piccoli artigiani, allevatori, agricoltori verso il loro destino di padri e madri di famiglia, imprenditori, professionisti. Molti sono andati via, hanno aperto i nuovi conti correnti in banche del Nord ma questo faceva parte del rischio. «Un'eccellenza, senza alcun dubbio per questo territorio - dice la sindaca di Alife Maria Luisa Di Tommaso - alla quale siamo sempre stati molto legati. Una famiglia, i Capasso, che ha segnato positivamente la storia della nostra comunità, un punto di riferimento. Posso dirle che tutti ci hanno sempre invidiato questa banca, c'era una vera e propria gelosia del circondario nei confronti di Alife».