Bce, la Corte tedesca mette a rischio il Quantitative easing e gli acquisti di Btp

La sede della Bce a Francoforte
La sede della Bce a Francoforte
Martedì 5 Maggio 2020, 15:32 - Ultimo agg. 20:20
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Sul Quantitative easing, il programma di acquisto titoli lanciato dalla Banca centrale europea nel 2015 per sostenere l'economia di Eurolandia, c'è da oggi l'ombra della Corte costituzionale tedesca. Una sentenza, quella emessa dai giudici di Karlsruhe, che non si spinge al punto di dichiarare illegale il meccanismo ma piazza alcune trappole che potrebbero, nei fatti, renderlo meno efficace. Con possibile ripercussioni anche sull'Italia, uno dei paesi che ha più beneficiato del programma di Francoforte.

La Corte, con un verdetto molto atteso, ha accolto in parte i ricorsi contro l'acquisto di titoli di Stato da parte della Bce avvenuti a partire dal 2015 e ha dato tre mesi di tempo all'istituto centrale per fare chiarezza sul programma, accogliendo parte del ricorso contro le misure.
 



Il verdetto dei giudici costituzionali non accusa la Bce di monetizzazione del debito. Ma rimette a Francoforte l'onere di provare che non c'è violazione del principio di proporzionalità rispetto agli effetti di bilancio degli acquisti di debito pubblico. Un aspetto insidioso perché mette sotto tiro due nodi essenziali: l'aspettativa che la Bce, come sta facendo con il nuovo programma Pepp (Pandemic emergency purchase programme, il piano di acquisto da 750 miliardi lanciato a marzo per fronteggiare l'emergenza coronavirus) compri titoli nazionali, ad esempio italiani, in misura maggiore rispetto quanto sarebbe previsto dalla quota italiana nel bilancio della banca centrale (17%). E quella che tenga quei titoli in bilancio il più a lungo possibile (qualcuno vorrebbe acquistasse bond perpetui).

Con il vecchio 'Qe1' varato da Mario Draghi nel 2015 la Bce (tramite Bankitalia essenzialmente) aveva comprato al 31 dicembre 2019 - dati ufficiali - 2.200 miliardi di euro di debito pubblico, di cui 364 miliardi di Btp italiani.

Una quota - il 18% circa - abbastanza in linea con la quota di bialncio italiana. Ma con il 'Qe2' (che continua ad esser chiamato Pspp) rafforzato da Christine Lagarde, e ancor più con il Pepp di fine marzo, la Bce ha spinto l'acceleratore sulla flessibilità che le consente di aumentare in proprozione gli acquisti su determinati paesi, andando proprio ad aiutare l'Italia.
 

Fra gennaio ed aprile, il programma della Bce ha comprato oltre 30 miliardi di Btp, che ammontano a ben più della quota italiana: sono il 35% dei circa 84 miliardi di debiti nazionali comprati complessivamente. Nel solo mese di aprile «la deviazione al rialzo più vistosa» rispetto alla quota di capitale è anche qui per l'Italia, che riportava oltre il 40% degli acquisti, scrive in un report Morgan Stanley.

Secondo la gran parte degli analisti, con il 'Pepp', che ad aprile ha acquistato 103 miliardi di titoli complessivi, la Bce come minimo ha comprato una quota italiana altrettanto importante. Ecco perché la sentenza dei giudici di Karlsruhe richiederà un bel lavoro per essere sminata nei suoi aspetti più insidiosi. Se si aggiunge che l'aspettativa di molti è che la Bce monetizzi il debito, ad esempio rinnovando senza fine i bond che scadono o accettando titoli perpetui, e il fatto che i giudici potrebbero impedire che compri titoli 'junk', ecco che per Christine Lagarde si apre una sfida pesante. Che protrebbe avere effetti anche sull'Italia.

La decisione della Corte limiterà il margine di azione della Bce nell'acquistare titoli di Stato dei Paesi a più alto debito, a svantaggio dell''Italia, commenta Clemens Fuest, presidente dell'Ifo Institute, organismo di ricerca ed analisi economica tedesco. «In linea di principio, solo la Bundesbank sarebbe vincolata da questi requisiti, non la Bce, in pratica è quasi impossibile che i futuri acquisti di obbligazioni avvengano senza la partecipazione della Bundesbank», ha spiegato Fuest. Di fatto, questa sentenza, ha aggiunto, «limiterà gli acquisti di titoli di stato italiani» e «aumenterà le pressioni» sui governi dell'Eurozona per ricorrere alla leva fiscale «piuttosto che affidarsi alla Bce».



 

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