Benzina e gasolio, volano i prezzi (fino a 2,50 euro al litro in autostrada). E l'Europa si divide sui tassi

A Francoforte si rafforza il fronte delle “colombe” che chiedono prudenza

Benzina e gasolio, volano i prezzi (fino a 2,50 euro al litro in autostrada). E l'Europa si divide sui tassi
Benzina e gasolio, volano i prezzi (fino a 2,50 euro al litro in autostrada). E l'Europa si divide sui tassi
di Gabriele Rosana
Domenica 8 Gennaio 2023, 00:33 - Ultimo agg. 12:15
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Per molti è stata una sorpresa decisamente amara: i prezzi dei carburanti sulle principali autostrade italiane ieri erano a livelli record. Addirittura un litro di diesel “servito” sulla A1 Milano-Roma-Napoli è arrivato a quotare 2,5 euro, un litro di verde 2,392. E così sulla Autostrada A4 Brescia-Padova dove il diesel veniva venduto a 2,449 euro/litro e la benzina verde a 2,384. Per non parlare dei picchi anomali registrati nelle isole, dall’Eolie a Ischia fino alla Sardegna. La media in tutta la penisola per il diesel ha sforato la soglia psicologica dei 2 euro. Lo ha denunciato l’associazione dei consumatori Codacons che ha anche presentato esposti in centinaia di procure italiane e alla Guardia di Finanza per gli opportuni controlli. Quotazioni record che non trovano alcuna giustificazione nei prezzi sui mercati internazionali del petrolio (in forte calo) e che preoccupano non solo gli automobilisti. Se il trend dovesse continuare nei prossimi giorni, i carburanti così cari andranno ad appesantire i costi di trasporto delle merci, e quindi a cascata il costo finale dei prodotti anche alimentari. Vanificando il lieve calo dell’inflazione registrato a dicembre. Insomma una spirale negativa che non fa presagire nulla di buono. E che rischia di rendere ancora più complicate le partite in atto nel cuore del Vecchio continente. A partire dalla battaglia sui prossimi aumenti dei tassi d’interesse da parte della Bce per contenere appunto l’inflazione

IL BRACCIO DI FERRO

L’Europa è spaccata sulle prossime mosse che dovrà adottare l’Eurotower e si prepara a un lungo braccio di ferro sul futuro della stretta monetaria in atto da parte di Francoforte, che in molti temono adesso possa spingere l’Eurozona verso la recessione. Gli schieramenti sono tornati a organizzarsi secondo la più classica delle contrapposizioni: falchi contro colombe. O, per meglio dire, colombe contro falchi. Sono infatti i fautori di una linea più morbida sull’incremento dei tassi, tra i membri del consiglio direttivo della Bce, a essere usciti allo scoperto. In particolare sulla scia delle stime flash sull’inflazione a dicembre, nell’Eurozona in calo al 9,2% rispetto al 10,1% di novembre e al 10,6% di ottobre. Il fronte della cautela, che oltre all’Italia annovera pure il Portogallo, la Grecia, Cipro e Malta, invoca un allentamento della linea dura sposata finora da Francoforte.
Dal 21 luglio scorso, l’Eurotower ha seguito (pur se con un certo ritardo iniziale) l’esempio degli altri principali istituti monetari mondiali, dalla Federal Reserve alla Bank of England, portando il suo tasso di riferimento al 2,5% con una serie di incrementi, inizialmente di 50 punti base (luglio), quindi, per due volte, di 75 (settembre e ottobre) e infine, a dicembre, di nuovo di 50. Ma già nei verbali della riunione di ottobre, la Bce valutava la possibilità di mettere in standby le progressive strette in caso di rallentamento delle condizioni economiche.
Dopo il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, che aveva aperto a un «approccio meno aggressivo», ora pure il portoghese Mario Centeno (un interlocutore molto ascoltato dai partner Ue) s’è detto convinto che i tassi si starebbero avviando «verso il loro picco», a meno di «nuovi shock esterni». Nessuna rottura in vista, beninteso: i toni scelti dai membri del consiglio direttivo sono sempre soppesati e attenti a non far sobbalzare i mercati. Ma resta il fatto che, in vista della prossima riunione di politica monetaria prevista il 2 febbraio, è forte il pressing per convincere gli altri dirigenti dell’Eurosistema che continuare senza sosta sul sentiero dell’aumento dei tassi porterebbe la zona euro sul baratro della crescita negativa, come ha messo in guardia nei giorni scorsi sul Messaggero il presidente dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, Antonio Patuelli.

LA STRATEGIA

La strategia passa, anzitutto, dalla ricomposizione dell’asse del Mediterraneo, provando a convincere pure Spagna e Francia. Parigi in particolare, per ora, è titubante: il governatore della Banque de France François Villeroy de Galhau ha segnalato che l’Eurotower continuerà sulla propria strada «per tutto il tempo necessario» finché non sarà raggiunto l’obiettivo di ricondurre l’inflazione al target del 2% simmetrico, ma che la fine dei rialzi potrebbe arrivare entro l’estate. Appena una mese fa era stata la presidente della Bce Christine Lagarde ad annunciare nuovi rialzi poiché, secondo le stime dei tecnici di Francoforte, l’inflazione «non ha ancora raggiunto il suo picco». I dati di Eurostat sembrerebbero suggerire un approccio diverso, ma non al punto da convincere i Paesi del Nord Europa. Per i falchi è ancora troppo presto per cantar vittoria e nuove strette perlomeno a febbraio e marzo (se non anche maggio e giugno) sarebbero inevitabili. Germania, Paesi Bassi e Austria (ma pure le tre repubbliche baltiche, dove l’aumento dei prezzi al consumo ha toccato persino il 20%) non intendono retrocedere nella difesa degli aumenti progressivi, motivate dalla tendenza dell’inflazione “core”, scorporati, cioè, i costi spesso volatili dell’energia e dei generi alimentari: un dato che, anziché scendere è invece in salita, passando dal 5% di novembre al 5,2% di dicembre.

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