Bollette e rincari, via al piano per aumentare la produzione di gas italiano: Basilicata e Sicilia i giacimenti

Bollette e rincari, via al piano per aumentare la produzione di gas italiano: Basilicata e Sicilia i giacimenti
di Nando Santonastaso
Domenica 13 Febbraio 2022, 08:00 - Ultimo agg. 14 Febbraio, 07:27
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I più soddisfatti, sia pure tra mille cautele, sono per ora gli amministratori comunali di Ravenna e la Confindustria del territorio. Loro, da anni, sollecitavano la fine della moratoria che ha bloccato dal 2019 la trivellazione di gas metano nell'Alto Adriatico: e ieri, dopo l'avvenuta pubblicazione del Pitesai, il Piano della transizione energetica sostenibile per le aree idonee, che di fatto rende possibile quell'aspirazione, hanno parlato di «importante passo in avanti». E, ancora, di «un quadro chiaro e definito in cui potersi muovere per pianificare il futuro di un settore vitale per l'economia del territorio romagnolo e nazionale». Ma anche in una delle regioni chiave per la produzione di idrocarburi la prudenza è d'obbligo considerato che il Pitesai è piuttosto corposo e che «andrà letto attentamente riga per riga», come spiega Franco Nanni, presidente del Roca, l'Associazione che raggruppa le imprese del distretto di Ravenna operanti nel settore offshore. E il resto del Paese? Che conseguenze avrà il Piano, ad esempio, su aree come la Basilicata o la Sicilia, in cui insistono importanti giacimenti onshore e offshore? La risposta si capirà meglio con le attese, successive mosse del governo. Perché quello che lo stesso ministero della Transizione ecologica chiama il Piano regolatore delle attività estrattive in Italia, viene considerato dai più come la cornice entro la quale il nostro Paese dovrebbe garantirsi un certo aumento di metri cubi di metano per evitare salassi da super bollette, come sta accadendo in questi giorni. Estrarre di più dai giacimenti già in produzione, come si legge nel Pitesai, è l'obiettivo numero uno ma il documento prevede anche la possibilità di «valutare l'avvio di nuovi progetti», purché compatibili con una serie di rigidi parametri ambientali e tecnici e comunque rientranti nelle aree già definite idonee. Aree che, a terra, coprono il 42,5% del territorio nazionale e a mare il 5% del totale della superficie marina su cui ha giurisdizione italiana. 

In proposito, il Pitesai esclude definitivamente che si possano prevedere coltivazioni da attività di ricerca e coltivazione in Valle D'Aosta, Trentino-Alto Adige, Liguria, Umbria, in parte Toscana e Sardegna.

Ma dove già si estrae il gas, lì si deve insistere. In base a questa premessa, si ritiene probabile garantire al Paese una disponibilità di altri 30 miliardi di metri cubi riaprendo in particolare le trivelle dell'Adriatico, arrivando così ad estrarre circa 90 miliardi di metri cubi di gas in totale (i giacimenti nazionali, concentrati per lo più nell'Adriatico, contengono tra i 40 e i 50 miliardi di metri cubi di gas). Secondo alcuni, sarebbe comunque pochissimo e non servirebbe a calmierare il costo della stangata energetica perché 90 miliardi di metri cubi coprirebbero appena un anno di consumi italiani (le riserve globali provate, fa notare il Fatto Quotidiano, ammontano a 215mila miliardi di metri cubi, le cosiddette riserve tecniche a 800mila miliardi). 

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Ma di più gas made in Italy c'è comunque un gran bisogno per non restare dipendenti pressoché in toto dai fornitori stranieri. Ed allora ecco l'ipotesi, pubblicata dal Foglio (e finora non smentita) del Piano del governo di raddoppiare l'attuale produzione di gas naturale vendendolo poi a prezzi calmierati. Qui entra in ballo il Mezzogiorno, non senza dubbi e perplessità soprattutto di carattere ambientale anche se sul Pitesai tutte le Regioni hanno dato l'ok. La Basilicata (che garantisce il 70% della fornitura di idrocarburi in Italia) ha avuto nel 2021 un calo di produzione di gas (circa 500mila metri cubi in meno) ma anche utilizzato i ricaschi dell'accordo sul fondo idrocarburi che ha permesso alla Regione di ricevere 36 milioni di euro. Qui in sostanza la strada del potenziamento degli impianti esistenti sembra in qualche modo già tracciata. In Sicilia invece dal 2019 Eni ha avviato la costruzione dell'impianto di trattamento del gas dai giacimenti di Argo e Cassiopea al largo della costa di Gela. Il progetto, uno dei più importanti del Protocollo d'Intesa per l'area di Gela del 2014, è in linea con la strategia della società per la valorizzazione del gas naturale come fonte energetica a basse emissioni. I lavori di costruzione, installazione e messa in produzione avranno una durata di quasi 3 anni, prevedendo investimenti per oltre 700 milioni. L'avvio della produzione di gas è previsto nella prima metà del 2024. 

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