Caro bollette, così politica e burocrazia bloccano i pozzi nazionali

Caro bollette, così politica e burocrazia bloccano i pozzi nazionali
Caro bollette, così politica e burocrazia bloccano i pozzi nazionali
di Jacopo Orsini
Sabato 2 Aprile 2022, 23:59 - Ultimo agg. 4 Aprile, 08:19
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La guerra in Ucraina ha messo in luce in modo ancora più evidente la forte dipendenza italiana dal gas russo. Una situazione che rende l’economia della Penisola più vulnerabile rispetto ad altri paesi avanzati. Per questo il governo con il decreto energia varato nelle scorse settimane ha deciso di dare una accelerata sulla produzione di metano dai pozzi italiani. Si punta ad aumentare le estrazioni di poco più di 2 miliardi, raddoppiando quasi la quota di gas preso dal territorio nazionale. Una quantità che comunque resta relativamente marginale rispetto ai circa 73 miliardi di metri cubi consumati complessivamente in Italia lo scorso anno provenienti quasi interamente dall’estero.

IL PIANO

La direzione presa dal governo per fronteggiare il caro-bollette contrasta comunque con le prescrizioni contenute le Pitesai, sigla abbastanza oscura che sta per “Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee”, varato dal ministero per la Transizione ecologica solo pochi giorni prima del decreto energia dopo una attesa di qualche anno. Il piano è finalizzato «a individuare un quadro di riferimento delle aree, a terra e a mare, ove è consentito lo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi» definendo inoltre la «“compatibilità” delle attività esistenti con il territorio interessato, secondo valutazioni di sostenibilità ambientale, sociale ed economica delle stesse».

Il documento supera quindi la moratoria sulle trivellazioni che era stata introdotta tre anni fa proprio in attesa della messa a punto del piano. Le nuove linee guida però vanno sostanzialmente nella direzione di ridurre le estrazioni nella Penisola non di aumentarle perché restringe le aree dove sono consentite nuove esplorazioni (anche se secondo le associazioni ambientaliste lo fa in modo insufficiente).


In Italia oggi, in confronto alle altre nazioni europee, si usa molto più gas naturale rispetto ad altre fonti (è il 42% del totale di energia, contro il 26% in Germania, il 23% in Spagna e il 17% in Francia che però ha puntato molto sul nucleare). Inoltre per la produzione di elettricità ci serve molto gas (48%) e questo rende la situazione ancora più difficile. Il problema infatti, sottolinea Confindustria nel rapporto “L’economia italiana alla prova del conflitto in ucraina” pubblicato ieri, «è che la gran parte del gas naturale che consumiamo è importato. In generale il nostro Paese ha un’elevata dipendenza dall’estero riguardo alle fonti fossili». L’Italia acquista infatti dall’estero l’89% del petrolio e il 94% del gas che consuma. Poco meno della metà di questo metano (il 40%, 29 miliardi di metri cubi) inoltre arriva dalla Russia. Per ridurre la dipendenza da Mosca dunque una delle strade, come deciso anche se in modo contraddittorio dal governo, è quindi aumentare l’estrazione di gas dentro i confini. «Non si tratta di trivellare di più, ma di usare di più i giacimento che ci sono già, che sono chiusi e che possono essere riaperti in un anno», ha messo in chiaro il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. La produzione nazionale negli ultimi decennni è crollata dagli oltre 19 miliardi di metri cubi del 1994 a poco più di 3 miliardi lo scorso anno. Un calo dovuto però anche al fatto che i giacimenti accertati in Italia sono andati gradualmente assottigliandosi. 


LE RISORSE

Le riserve sono scese da 353 miliardi di metri cubi nel 1991 a poco più di 40 nel 2020 (a oltre 90 secondo altre stime). «Negli ultimi 20 anni il gas estratto è diminuito non perché non si è voluto più estrarre ma perché i siti che erano più economicamente convenienti sono andati a esaurirsi. Quelli da cui era più facile estrarre sono stati sfruttati», spiega Roberto Bianchini, direttore dell’Osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano e partner di Ref Ricerche. «Anche triplicando la produzione italiana comunque si arriverebbe a meno del 10% della domanda quindi da solo l’aumento della produzione non può essere la soluzione». Serve quindi puntare su una maggiore diversificazione delle fonti: aumentare la portata dei gasdotti esistenti, sfruttare di più i rigassificatori. «È sicuramente possibile - sottolinea ancora il rapporto dell’associazione degli industriali - produrre più gas in Italia nel breve periodo per fronteggiare la crisi attingendo a queste risorse già note. Ma per sostenere una maggiore produzione nel medio-lungo periodo, bisognerebbe tornare ad esplorare nuovi giacimenti di gas in Italia, anche quelli che richiedono nuove tecnologie (shale gas). Un’attività - chiosa Confindustria - che nel recente passato è stata più volte ostacolata dal punto di visto politico».

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