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Casa, stretta green europea: chi dovrà ristrutturare? Le date, le classi energetiche (e le possibili sanzioni). Cosa sappiamo

I parametri che costringeranno i proprietari a fare i lavori in casa per restare al passo con gli standard Ue

Case green, chi dovrà ristrutturare? Le date, le classi energetiche (e le possibili sanzioni). Cosa sappiamo
Case green, chi dovrà ristrutturare? Le date, le classi energetiche (e le possibili sanzioni). Cosa sappiamo
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Martedì 10 Gennaio 2023, 10:17 - Ultimo agg. : 12 Gennaio, 09:41
5 Minuti di Lettura

Case green, ora la svolta può arrivare davvero. Il provvedimento era sul tavolo di Bruxelles già dicembre 2021, quando il Messaggero ne aveva dato la prima anticipazione. Il dossier è stato messo da parte per circa un anno, ma le prossime tappe che riguarderanno le ristrutturazioni delle case per portare alle classi energetiche su cui l'Ue punta, sono già stabilite: il 25 gennaio l'approvazione - salvo sorprese - dalla Commissione energia del Parlamento Ue, poi l'approvazione definitiva entro il 13 marzo. Sul testo, però, sono in atto ancora delle trattative. 

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Le date e le tappe

L'indirizzo è chiaro: gli immobili residenziali dovranno stare al passo con i tempi ed essere il più sostenibili possibili, nell'ottica di una svolta green che non riguarda più solo le auto ma adesso anche il settore immobiliare. L'obiettivo è quello della classe energetica «E» entro il primo gennaio 2030 mentre dal 2033 sarà necessario arrivare alla classe «D». Poi, entro il 2050, emissioni-zero. Rispetto all'ultima bozza di un anno fa, in realtà, un primo compromesso è già stato trovato: le richieste iniziali erano più stringenti, con il primo step da raggiungere entro il 2027 e con classi energetiche più elevate (prima la «D» e poi la «C» nel secondo passaggio). Il punto resta l’obbligo per gli Stati membri di assicurare che il patrimonio edilizio sia interamente ristrutturato per garantire i nuovi parametri di efficienza energetica. 

Le multe

Nelle prime proposte erano anche previste alcune sanzioni draconiane per chi non avesse ottemperato a questo obbligo, come il divieto di vendere o affittare la casa che non avesse il bollino verde richiesto dall’Europa. Questo passaggio è stato eliminato dalle nuove bozze, mentre è stato demandato agli Stati membri di decidere autonomamente a quali sanzioni sottoporre chi non adegua la propria casa ai nuovi requisiti di efficienza energetica. In realtà non c’è nemmeno bisogno che una sanzione sia effettivamente stabilita. Non appena la direttiva europea entrerà in vigore, l’effetto automatico sarà quello di ridurre il valore delle abitazioni che non rispettano i requisiti della direttiva. E in Italia sono tante. Nelle classi «G» ed «F», le due classi energetiche più basse, secondo gli ultimi dati dell’Enea, c’è il 60 per cento delle abitazioni residenziali. 

I mutui

Una volta che la direttiva sarà approvata e recepita nell’ordinamento, chiunque acquisterà un’abitazione che rientra in queste classi energetiche, sa che nel giro di poco tempo sarà costretto a doverla ristrutturare. La riduzione del valore degli immobili, inoltre, potrebbe avere effetti anche sul sistema bancario. I mutui concessi per l’acquisto delle abitazioni hanno come garanzia l’immobile stesso. Ma cosa accade se il valore dell’immobile si riduce? È possibile che le autorità di vigilanza europee possano chiedere alle banche di adeguare le garanzie stesse. Un tema sul quale anche l’Abi ha da tempo acceso un faro.  

Le esenzioni

Nella nuova bozza di compromesso della direttiva, sono state inserite anche alcune esenzioni. Come quella sugli immobili di interesse storico. Inizialmente erano stati ricompresi anche questi nell’obbligo di efficientamento energetico. Circostanza che, soprattutto in un Paese come l’Italia, avrebbe creato problemi rilevanti vista l’impossibilità di poter intervenire in alcuni contesti con coibentazioni o con l’installazione di pannelli fotovoltaici. L’esenzione, tuttavia, riguarda soltanto gli edifici storici «ufficialmente protetti», ossia quelli che rientrano tra i beni sottoposti a vincolo. In Italia nei centri storici ci sono invece moltissimi immobili storici ma che non hanno un vincolo puntuale.

Per questi l’esenzione non si applicherà. Saranno invece esentate le chiese e tutti gli altri edifici di culto. E una protezione ci sarà anche per le «seconde case». Quelle, spiega la direttiva, che sono abitate per meno di quattro mesi all’anno. Infine, saranno “salvate” dall’obbligo di efficientamento le abitazioni indipendenti che hanno una superficie inferiore a 50 metri quadrati. «Le misure contenute nel testo della direttiva», spiega Giovanni Gagliani Caputo, membro del Comitato esecutivo dell’Unione internazionale della proprietà immobiliare, «non lasciano agli Stati membri sufficiente flessibilità per adattarsi al contesto nazionale, per valutarne la fattibilità, le necessità economiche e verificare la capacità finanziaria dei proprietari e dei conduttori». 

Le stime

Le prime simulazioni sull’impatto della nuova direttiva europea sull’efficientamento degli immobili sono pesantissime. In base alle stime dell’Enea, per migliorare il livello di emissioni degli immobili italiani servirebbero 12 miliardi all’anno per i prossimi 10 anni. Centoventi miliardi in tutto. Ma questa mole di investimenti potrebbe non essere sufficiente a raggiungere in Italia gli standard che l’Europa vorrebbe richiedere agli Stati membri. 

Chi dovrà ristrutturare

Secondo i dati dell’Agenzia delle entrate, nel Paese ci sono quasi 58 milioni di immobili residenziali. Quasi 20 milioni sono abitazioni principali, 6 milioni sono “a disposizione”, ossia ne locati e neppure abitati. Altri 6 milioni sono quelli dati in affitto. Se si escludono le pertinenze, il totale degli immobili è di circa 45 milioni. Ma quanti di questi sarebbero “fuorilegge” con la nuova direttiva europea? L’Enea raccoglie i dati delle Ape, le attestazioni di prestazione energetica, all’interno di una banca dati che si chiama Siape, Sistema Informativo sugli Attestati di Prestazione Energetica. Il quadro non è però completo, perché per adesso nella banca dati ci sono all’incirca 2 milioni di Ape. Ma si tratta certamente di un’indicazione “a campione” importante. Secondo i dati dell’Enea il 35 per cento delle abitazioni sono il classe “G”. Un dato, spiegano dall’ente, probabilmente sottostimato, visto che chi comunica l’Ape lo fa in occasione di una ristrutturazione, di una vendita o di una locazione. Ma se anche fosse questa la percentuale, significherebbe che 16 dei 45 milioni di immobili censiti dal Fisco, escluse le pertinenze, non rispetterebbero i requisiti minimi della Ue. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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