Censis, dalla sanità al lavoro l'Italia una ruota quadrata che non gira

Censis, dalla sanità al lavoro l'Italia una ruota quadrata che non gira
Venerdì 4 Dicembre 2020, 10:42 - Ultimo agg. 15:54
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«Il sistema-Italia è una ruota quadrata che non gira: avanza a fatica, suddividendo ogni rotazione in quattro unità, con un disumano sforzo per ogni quarto di giro compiuto, tra pesanti tonfi e tentennamenti. Mai lo si era visto così bene come durante quest'anno eccezionale, sotto i colpi dell'epidemia». Lo evidenzia il 54mo Rapporto Censis. «Il virus ha colpito una società già stanca», si rileva: «Quest'anno però siamo stati incapaci di visione» e «il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati: un sentiero di bassa valle più che un'alta via». 

IL GAP

«Il 90,2% degli italiani è convinto che l'emergenza coronavirus e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili, ampliando le disuguaglianze sociali già esistenti». Se da un lato, da marzo a settembre 2020 «ci sono 582.485 individui in più che vivono nelle famiglie che percepiscono un sussidio di cittadinanza (+22,8%)», dall'altro 1.496.000 individui (il 3% degli adulti) hanno una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): di questi, 40 sono miliardari e sono aumentati sia in numero che in patrimonio durante la prima ondata dell'epidemia.

I RISPARMI

La crisi economica generata dalla pandemia di Covid ha prodotto in Italia una netta diminuzione della propensione al rischio e una crescente tendenza ad affidarsi alla mano pubblica, munifica di ristori e aiuti per una vasta platea di italiani.

Il Censis delinea così il quadro economico italiano. Il netto calo della propensione al rischio, segnala il Censis, si declina sia in una impennata della liquidità precauzionale (+41,6 miliardi in sei mesi) sia in un diffuso timore verso il “fare impresa: solo il 13% degli italiani, infatti, è pronto a tornare a rischiare aprendo un'impresa nel dopo Covid. Il rovescio della medaglia è la diffusione di una 'bonus economy' garantita dallo Stato: a ottobre, si legge nel rapporto, i sussidi erogati dall'Inps coinvolgevano una platea di oltre 14 milioni di beneficiari, con una spesa superiore a 26 miliardi di euro. È come se a un quarto della popolazione italiana fossero stati trasferiti in media quasi 2.000 euro a testa.

IL LAVORO

La pandemia ha creato una netta spaccatua nel mondo del lavoro  NEL MONDO DEL LAVORO, DISTINGUENDO nettamente tra chi beneficia di garanzie e chi invece è costretto ad arrangiarsi con lavori precari, instabili o affatto garantiti. Lo segnala il Censis nel 54mo rapporto sulla situazione sociale del Paese. «Per l'85,8% degli italiani si legge nel rapporto - la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Su tutti, i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di pensionati». Poi si entra «nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive. Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese». A questo seccede la falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva. C'è poi l'universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che, scrive il Censis, hanno «finito per inabissarsi senza fare rumore. Infine, i vulnerati inattesi: gli imprenditori dei settori schiantati, i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati». Cel

Nel magmatico mondo del lavoro autonomo solo il 23% dei soggetti ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19. Il Censis parla degli «imprenditori dei settori schiantati, come i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati». «Il nuovo valore del lavoro protetto si manifesta pienamente in una società sfibrata dallo spettro del declassamento sociale, in cui il 50,3% dei giovani vive in una condizione socio-economica peggiore di quella vissuta dai genitori alla loro età - osserva il rapporto - Per 40 lavoratori autonomi su 100, i figli sono passati in una classe occupazionale inferiore, dentro i ranghi degli operai e del terziario non qualificato. Se il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza, allora la logica sociale vincente dice che oggi è vitale e razionale per tutti conquistare protezioni, accaparrando diritti su risorse pubbliche, meglio se prolungati, meglio ancora se eterni».

LA SANITA'

Il Servizio sanitario nazionale si è presentato all'appuntamento con l'emergenza del Covid-19 piuttosto fragile. Non solo perché ha scontato una impreparazione sistemica rispetto alla prevenzione delle epidemie, ma anche perché nel tempo è stato minato nelle sue basi economiche e umane». Il Censis ha evidenziato come l'impegno pubblico nella sanità sia «inferiore rispetto a quello di altri Paesi europei». Inoltre, «al razionamento delle risorse economiche si aggiunge il mancato ricambio generazionale di medici e infermieri». L'emergenza sanitaria ha «segnato il ritorno di una idea di malattia che fa paura, rovesciando quella rappresentazione rassicurante che si era imposta di pari passo con l'invecchiamento della popolazione e con la cronicizzazione delle patologie». Il 65% dei cittadini - è la fotografia scattata - pensa che la comunicazione sulle modalità di diffusione del virus, i dati sui nuovi contagi e i decessi abbia spaventato le persone senza renderle pienamente consapevoli di quanto stava effettivamente accadendo. Le percentuali arrivano al massimo tra i soggetti più vulnerabili: il 72,5% tra gli anziani e il 79,7% tra chi ha un basso livello di scolarizzazione. Un altro aspetto che emerge è «il fallimento della residenzialità socio-sanitaria e socio-assistenziale per gli anziani, uno dei capitoli più drammatici dell'emergenza sanitaria». Per il 66,9% degli italiani si sapeva che tante case di riposo non garantivano agli ospiti adeguati standard di sicurezza e di qualità della vita. Nel post Covid-19 diventa, dunque, «prioritario attivare reti integrate di assistenza per affiancare le famiglie troppo spesso lasciate sole nell'assistenza di malati cronici o non autosufficienti. La soluzione passa attraverso la figura dell'infermiere di comunità o di famiglia. Ben il 91,4% degli italiani la ritiene la soluzione migliore per l'assistenza e la cura di persone bisognose di terapie domiciliari e riabilitative». 

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