Luce e mangimi a peso d’oro, le mozzarelle verso lo stop: «Conviene uccidere le mucche»

Luce e mangimi a peso d’oro, le mozzarelle verso lo stop: «Conviene uccidere le mucche»
di Nando Santonastaso
Giovedì 31 Marzo 2022, 23:50 - Ultimo agg. 1 Aprile, 11:10
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Si fa fatica a chiamarla guerra con tutto ciò che succede in Ucraina. Ma quella che ormai da mesi stanno combattendo gli allevatori zootecnici e i produttori di formaggi Dop come la Mozzarella di bufala campana è ormai diventata una sfida per la sopravvivenza. L’invasione russa ha fatto esplodere i prezzi della filiera del latte da mucca e di quella bufalina che già prima erano in forte crescita: sono aumentati l’energia elettrica, il gas, il mais, i mangimi, i trasporti, gli imballaggi. «Per cercare di resistere ho dovuto mandare al macello due vacche ancora produttive: non avevo i 3mila euro necessari a pagare l’ultima bolletta elettrica», ammette Salvatore Romano, allevatore di gioia Sannitica nel casertano, intervistato da Rai Regione. Un caso nient’affatto isolato, spiega Michele Liverini, titolare con il fratello Filippo di uno dei più importanti mangimifici del Mezzogiorno e presidente nazionale reggente di Assalzoo, una delle Associazioni di categoria: «In tutta Italia si stanno mandando alla macellazione dal 2% al 4% di vacche da latte, con punte anche del 10%, e il prezzo del mais in soli tre giorni è passato da 27 a 44 euro al quintale. La guerra ha innescato purtroppo una speculazione assurda: siamo autonomi come Paese per l’87% del fabbisogno di latte e non si capisce perché si è stabilito, quasi come un cartello, che non si può riconoscere ad allevatore più di 44 centesimi al litro - ma ci sono stalle che scendono anche a 37 centesimi – mentre per produrlo non occorrono meno di 52 centesimi». 

La preoccupazione è generale. Come al Consorzio di Tutela della Mozzarella di bufala campana Dop, ad esempio: «Tutti parlano della filiera del latte di mucca, che costa quattro volte in meno al litro rispetto al nostro. Mi domando: chi si preoccupa invece della filiera bufalina, da tutti riconosciuta come un’eccellenza?» si chiede il presidente Domenico Raimondo, al quarto mandato alla guida del Consorzio. E spiega: «È a rischio la sostenibilità economica delle nostre aziende. Avevamo resistito al Covid mostrando tutta la capacità di resilienza: nel 2021 abbiamo raggiunto i 54 milioni di chili di mozzarella Dop prodotta, che vuol dire 1 miliardo di bocconcini in giro per il mondo. Sembra passata un’era. Viviamo un paradosso: abbiamo potenzialità di crescita, come dimostra anche la produzione di gennaio del 2022 (+6% su base annua), ma assistiamo a un progressivo impoverimento della filiera».

Rincari su rincari, senza soluzione di continuità: va avanti così da mesi. «Con la guerra in Ucraina – conferma Raimondo – sono raddoppiate le spese per il gas e anche per l’energia elettrica, che unitamente ai rincari di trasporti, logistica e imballaggi incideranno per un +10% sui bilanci delle aziende, secondo le prime stime.

Abbiamo già richiesto un adeguamento dei prezzi sul mercato. I produttori più piccoli lo hanno già praticato nei punti vendita, ma fatichiamo a farci riconoscere questa grave difficoltà da parte della grande distribuzione organizzata. Su questo bisogna lavorare tutti insieme. Non basta non aumentare l’inflazione nel carrello della spesa dei consumatori, serve anche garantire la giusta redditività alle aziende». 

Incognite pesanti, prospettive a caccia di un minimo di certezze. La guerra ha fatto dimenticare che lo scorso anno in Francia le vendite di mozzarelle hanno superato per la prima volta nella storia addirittura quelle del camembert, orgoglio agroalimentare di sempre per i transalpini: «L’eventuale riduzione di forniture lascerebbe spazio a prodotti concorrenti di altri Paesi dopo che abbiamo impiegato anni di lavoro per farci apprezzare in tutta Europa. E poi sarà sempre più difficile raggiungere i mercati extra europei, a cominciare dagli Usa, dove la mozzarella di bufala è considerata un vero simbolo del made in Italy a tavola. L’unica competizione che noi possiamo vincere nel mondo globale è quella sulla qualità» dice Raimondo.

Angoscia e dolore si tagliano a fette anche tra gli allevatori della filiera del latte di vacca, dal Nord al Sud. Da Treviso, Lorenzo Brugnera, presidente della Latteria Soligo, una delle eccellenze locali (nasce qui il Soligo Oro, formaggio che si produce dal 1883) parla di «costi di fatto raddoppiati. Oltre al mais, la soia macinata da 35 euro al quintale è schizzata a 65 euro. E vogliamo parlare del gasolio utilizzato in agricoltura? Dai 60-65 centesimi al litro di qualche tempo fa siamo passati nel giro di un paio di settimane a 1,40, ben più del doppio. E nonostante questi rincari il prezzo del latte è rimasto lo stesso». 

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Dalla Puglia Angelo Miano, allevatore di Lucera, in provincia di Foggia, e associato ala CIA Agricoltori regionale, non usa mezzi termini: «Siamo quasi ad una situazione di non ritorno. O si chiude o dobbiamo indebitarci fino al collo».

La Cia pugliese spiega in una nota che «anche il farinaccio, altro prodotto utilizzato dagli allevatori, è salito da 12 a 30 euro in pochi giorni. Stessa cosa per i mix di mangimi all’interno dei quali sono utilizzati, ad esempio, il favino e il pisello proteico. L’aumento dei costi per questi prodotti così come quello degli integratori alimentari per il bestiame sta registrando incrementi che arrivano anche al 100%». A rischio collasso c’è «l’intero comparto zootecnico, composto da 9mila allevamenti nella regione». Dice Coldiretti: «La guerra in Ucraina taglia fino al 10% le razioni di cibo a mucche, maiali e polli negli allevamenti pugliesi che si trovano a fronteggiare la peggiore crisi alimentare per gli animali dalla fine del secondo conflitto mondiale a causa dell’esplosione dei costi dei mangimi e del blocco alle esportazioni di mais dall’Ucraina e anche dall’Ungheria». In Lombardia i profitti dei produttori di latte sono al tracollo ed entro giugno, secondo le prime valutazioni, si rischia di avere il 30% di vacche in meno. E parliamo della regione che da sola assicura la metà della produzione lattiero-casearia nazionale.

Guerra, inflazione, speculazione a più non posso. La miscela è davvero esplosiva. «Ho mandato il 10% di animali al macello pur essendo produttivi: non riesco a comprare il gasolio e ad approvvigionarmi di mangime perché non si trova. Come faccio a pagare le bollette dell’energia?» dice Antonio Viscusi, altro allevatore di Goia Sannitica. Molte, come detto, le stalle al collasso: sfamare gli animali sta diventando un lusso per troppi allevatori, mandarli al macello l’unica via di uscita prima che deperisca per mancanza di nutrimento. 

Rischia di essere lo stesso destino anche per le bufale che garantiscono la mozzarella campana Dop? «La bufala di razza mediterranea italiana è un patrimonio da tutelare a tutti i costi. Le bufale mangiano ovviamente tutti i giorni, vanno munte tutti i giorni, ma se non ci sono soldi per foraggio e altro, non so davvero se si potranno evitare le ipotesi peggiori. Oggi non possiamo più escludere nulla» ammette il presidente del Consorzio di Tutela Raimondo. 

I rialzi sono ormai insostenibili e a rischiare ora sono anche i consumatori finali che il latte potrebbero non essere più sicuri di trovarlo sempre: «Con le stalle che chiudono - ha detto il responsabile nazionale del comparto lattiero-caseario della Copagri, Roberto Cavaliere - c’è la concreta eventualità di perdere 12-15 milioni di quintali di latte, pari al 10% circa della produzione nazionale, con danni irreparabili al tessuto produttivo del Paese».

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