Manovra, sale il taglio del cuneo fiscale. Ecco chi ci guadagnerà di più

Una buona notizia per molti lavoratori visto l’effetto dell’inflazione sugli stipendi

Più soldi in busta paga fino a 35.000 euro lordi di retribuzione
Più soldi in busta paga fino a 35.000 euro lordi di retribuzione
Mercoledì 21 Dicembre 2022, 18:18 - Ultimo agg. 22 Dicembre, 15:34
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Sarà la fascia da 25.000 euro di reddito lordo ad avere i maggiori benefici in valore assoluto dall’ultimo correttivo al taglio del cuneo previsto dal maxi-emendamento alla manovra.

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LE SIMULAZIONI

Il taglio del 3% rivisto per il 2023 è stato infatti esteso anche ai redditi da 20.000 a 25.000 euro, mentre rimane al 2%, sulla quota dei contributi previdenziali dovuti dai lavoratori dipendenti pubblici e privati (esclusi i lavoratori domestici, la sforbiciata per le retribuzioni lorde tra 25.000 e 35.000. Dunque fino a 25.000 euro il beneficio sarà di circa 493, con un bonus mensile di 41 euro. Subito dietro la fascia più favorita è quella dei 22.500 euro con 444 euro annuali in più e 37 mensili. Evidentemente il benificio si riduce salendo fino al penultimo gradino per poi tornare a salire a quota 35.000 euro quando si arriva a guadagnare 394 euro in più all’anno (circa 33 al mese). Sul versante opposto, pur beneficiando del taglio del 3%, il beneficio si assottiglia a 10.000 euro di retribuzione (il risparmio è di 19,25 euro mensile e 231 euro annuale).

EFFETTO FISCO E CARO-VITA

Una buona notizia per molti lavoratori visto l’effetto dell’inflazione sugli stipendi. È l’ultima fotografia dell’Istat a certificare quanto si siano ridotte le retribuzioni italiane.

Nel giro di tredici anni le buste paga nette dei lavoratori dipendenti si sono ridotte del 10%. Il periodo è quello tra il 2007, l’anno che precede la prima crisi economica del terzo millennio, e il 2020, l’anno della pandemia: in questo arco temporale l’andamento delle retribuzioni, a parte qualche tentativo di risalita, è rimasto puntato all’ingiù. L’indagine «Reddito e condizioni di vita» dell’Istat misura allo stesso tempo anche il carico fiscale e contributivo che grava sul lavoro. E che, a cascata, rende più leggeri gli stipendi. Ma la colpa non è solo del fisco. A pesare oggi è anche il caro-vita, con l’inflazione alle stelle, che erode il potere d’acquisto di salari e pensioni, ed è la dinamica dello stesso mercato del lavoro laddove non riesce ad offrire un’occupazione, ben pagata e ad eliminare il gap tra uomini e donne. Gli ultimi segnali non sono positivi. Nel terzo trimestre di quest’anno rallenta infatti la corsa dell’occupazione: l’input di lavoro misurato in Ula (Unità di lavoro equivalenti a tempo pieno) risulta in calo rispetto al secondo trimestre (-0,1%) e su base annua riduce la crescita al 2,7% (basti vedere che nei tre mesi precedenti i dati erano rispettivamente +1,2% e +4,9%). Nello stesso periodo il Pil è cresciuto dello 0,5% congiunturale e del 2,6% annuo.

I COSTI

Tornando al costo del lavoro e alle retribuzioni, tra il 2007 e il 2020 l’Istat segnala che i contributi sociali dei datori sono diminuiti del 4%, anche per l’introduzione di misure di decontribuzione, mentre i contributi dei lavoratori sono rimasti sostanzialmente invariati e le imposte sul lavoro dipendente sono aumentate in media del 2%. Per quanto riguarda il cuneo fiscale e contributivo, ossia la differenza tra il costo sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta del lavoratore, nel 2020 risulta in media pari a 14.600 euro e sebbene si riduca del 5,1% rispetto al 2019 continua a restare alto e a superare il 45% del costo del lavoro. La retribuzione netta del lavoratore risulta invece pari a 17.335 euro, certificando che si guadagna meno: esattamente 650 euro in meno del 2019. Con una notevole differenza tra uomini e donne: 19.345 euro contro 14.930 euro. Ben oltre quattromila euro, in media, di scarto in un anno.

I REDDITI

In generale, comunque, l’asticella si ferma su livelli medio-bassi: circa tre quarti dei redditi lordi non supera i 30mila euro annui. Sempre nel 2020, la metà risulta infatti compresa tra i 10mila e i 30mila euro annui, oltre un quarto è sotto i 10mila euro, mentre poco più del 20% risulta tra 30mila e 70mila e solo nel 3,7% dei casi si superano i 70mila euro annui. Ed è proprio alla parte più debole del mercato del lavoro che il governo punta a sostenere. «Lavoreremo sull’inclusione e la coesione sociale per favorire l’occupazione dei giovani e delle donne», afferma la ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone, illustrando alla Camera le linee programmatiche del dicastero. I dati, spiega, devono far riflettere perché le loro percentuali di accesso al lavoro sono «molto basse». Gli stessi giovani e le stesse donne che, spesso con carriere discontinue, poi devono fare i conti anche con pensioni più basse. Per questo, i sindacati spingono per riconoscere loro una pensione di garanzia nell’ambito della riforma previdenziale che da gennaio si comincerà a discutere (il 19 gennaio partirà il confronto al ministero con le parti sociali), insieme alle misure per dare maggiore flessibilità in uscita e superare la legge Fornero. Una delle priorità insieme al tema della sicurezza sul lavoro (il 12 gennaio si avvierà il tavolo), ma anche al recupero del potere d’acquisto: per fronteggiarlo, come rimarca il segretario generale della Uil, Pierpaolo Bombardieri, i sindacati chiedono un intervento più deciso sul cuneo fiscale, la detassazione degli aumenti contrattuali e il rinnovo di tutti i contratti scaduti.

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