De Micheli: cantieri lumaca questione di volontà politica

De Micheli: cantieri lumaca questione di volontà politica
di Nando Santonastaso
Giovedì 10 Dicembre 2020, 07:30 - Ultimo agg. 15:06
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Non sono bastati un Codice degli appalti, un'Authority anti-corruzione, la legge Sblocca-cantieri e quella per le Semplificazioni amministrative, entrata in vigore lo scorso settembre (ma ancora priva di quasi tutti i decreti attuativi). Se in Italia la durata media di un'opera pubblica di medie dimensioni continua a non essere inferiore ai sei anni (quattro in più del miracolo, forse irripetibile, della ricostruzione del ponte Morandi di Genova) vuol dire che il problema non è stato affatto risolto.

E se si pensa all'elenco ancora misterioso delle 40 opere pubbliche da commissariare, che a quanto pare la Ragioneria dello Stato ha rispedito a Palazzo Chigi senza l'ok preventivo al Dpcm previsto, significa che c'è bisogno di altro. «Di volontà politica», dice senza peli sulla lingua la ministra delle Infrastrutture e dei Trasporti Paola De Micheli, intervenuta ieri a un webinar sull'approfondita indagine promossa da Conferenza delle Regioni, Confindustria, Ance e affidata alla Luiss, per illustrare le difficoltà dei contratti pubblici nel nostro Paese e l'eccessiva lentezza dei cantieri. «Alla domanda di questo convegno, Perché in Italia non si fanno le opere?, io rispondo ribadendo che 17 miliardi di cantieri che abbiamo sbloccati nei 14 mesi li abbiamo sbloccati per volontà politica.

Non c'era nessun atto amministrativo che fosse insormontabile. Nessun atto amministrativo è insormontabile nell'ambito della legittimità di un progetto che è legittimità del finanziamento di un progetto», dice la De Micheli. E aggiunge: «Credo che la prima vera grande questione per fare le opere è che si decidano di farle. Mi dispiace se non aderisco alla tesi molto diffusa che è tutta colpa della burocrazia, delle procedure. C'è il problema delle firme, delle autorizzazioni e della burocrazia, altrimenti non saremmo arrivati a fare il decreto semplificazioni: ma per me, per i miei primi 17 miliardi di cantieri e per i prossimi 20 miliardi che abbiamo in cantiere per il 2021 la vera questione è decidere di fare le opere ed essere conseguenti quando si aprono i cantieri». Perché, ribadisce la ministra, «la discussione nazionale e territoriale su moltissime opere è ancora una discussione sul se farle, come farle, addirittura sul tornare indietro di cantieri già aperti».

La stessa De Micheli, però, riconosce che si può fare anche qualcosa a prescindere dalla volontà politica: «Per la terza volta - spiega - chiederò al governo di modificare la modalità con cui si compongono e definiscono i contratti di programma delle due grandi stazioni appaltanti nazionali (Anas e Rfi, ndr). Non perché mi voglia sottrarre ad alcun tipo di controllo, ma perché penso che la costruzione di un contratto di programma possa essere fatta in maniera collegiale rispetto ai passaggi burocratici e poi lasciare fuori soltanto il tempo della firma per la definizione degli aspetti amministrativi». In altre parole, «un contratto di programma non può girare per avere pareri per 3 anni, quando sono chiare le opere che si finanziano e le fonti di finanziamento». 

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Di sicuro, dall'indagine condotta su 5104 stazioni appaltanti e 217 operatori economici, illustrata dal professor Bernardo Giorgio Mattarella della Luiss (e su cui sono intervenuti il presidente Anac Giuseppe Busia, il Consigliere di Stato Giulio Veltri, Stefan Pan, delegato del Presidente di Confindustria, e il vicepresidente Ance Edoardo Bianchi) emergono con chiarezza alcuni elementi. Un giudizio critico, soprattutto, sul Codice dei contratti pubblici del 2016, «perché è di difficile applicazione, ha rallentato la realizzazione degli investimenti pubblici e aggravato gli adempimenti burocratici». Ma anche il decreto sblocca-cantieri non sembra aver risolto le principali criticità normative preesistenti (lo pensa l'81% dei Responsabili unici del procedimento, i Rup). E perplessità arrivano pure sulla normativa anticorruzione: solo il 13% dei Rup la ritiene utile e rispondente ad esigenze di trasparenza. Cosa fare? Intanto, razionalizzare il numero delle stazioni appaltanti ma serve anche un percorso di qualificazione e professionalizzazione delle stesse. «La verità - dice il governatore della Liguria Giovanni Toti - è che più di 5000 Responsabili Unici del Procedimento ed oltre 200 imprese di diverse dimensioni lanciano al mondo delle istituzioni un messaggio univoco: semplificate davvero e fate presto».

Sicuramente, come spiega Fulvio Bonavitacola, vicepresidente della Regione Campania, ieri nella veste di coordinatore della Commissione infrastrutture della Conferenza delle Regioni), occorre sfatare anche alcuni tabù su cui i governatori hanno già chiesto di essere ascoltati dal governo ma finora invano. «Il primo è che appesantimenti burocratici e complessità delle procedure possano rappresentare un antidoto alla corruzione. Il secondo è che il processo di responsabilizzazione del dirigente pubblico coincida con un aggravio normativo che invece, al contrario, ha generato il fenomeno diffuso della paura della firma ed una fuga dalla responsabilità. Infine il tema delle procedure di gara e delle aggiudicazioni che ha bisogno di un serio tagliando».

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