Decontribuzione 30% Sud, le imprese temono lo stop: «Negoziato con l'Ue in salita»

Decontribuzione 30% Sud, le imprese temono lo stop: «Negoziato con l'Ue in salita»
di Nando Santonastaso
Giovedì 11 Novembre 2021, 11:00
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Nessuno lo dice apertamente, forse anche per scaramanzia. Ma tra le imprese del Mezzogiorno filtra un certo scetticismo sulla possibilità che la Decontribuzione Sud, la fiscalità di vantaggio prevista per le sole aziende del Sud, venga confermata e soprattutto diventi strutturale anche quando l'Ue ripristinerà le norme sospese per la pandemia. Al momento la misura, autorizzata dalla Commissione nell'ambito del Quadro temporaneo sugli aiuti di Stato, è prevista fino al 31 dicembre 2021 ma si dà per certo che Bruxelles prorogherà il regime attuale almeno fino al 30 giugno 2022 (come tutte le altre deroghe già in atto) per facilitare la ripresa nei Paesi membri. Ma cosa accadrà dopo è un grande punto interrogativo.

Il ministro per il Sud e la Coesione territoriale Mara Carfagna ha più volte ribadito che lavorerà con la Commissione per arrivare almeno a tutto il 2022 ma che il traguardo più importante rimane quello di rendere strutturale la Decontribuzione fino al 2029. La strada però appare già adesso molto in salita e, come temono le imprese, le incognite da affrontare non sono affatto né poche né semplici. 

«Avverto come molti altri imprenditori un certo disinteresse verso una misura che in realtà è l'unica oggi in grado di assicurare un vantaggio competitivo al Mezzogiorno e di compensare i tanti ritardi e problemi di quest'area», dice con l'abituale schiettezza Sergio Fontana, presidente di Confindustria Puglia.

E aggiunge: «La fiscalità di vantaggio premia chi lavora, come le aziende, e non chi vive di sola assistenza approfittando magari del Reddito di Cittadinanza. E non va dimenticato che può contribuire ad attrarre al Sud anche imprese di altre aree del Paese o straniere perché garantirebbe loro la stessa opportunità. Ecco perché renderla strutturale è la vera priorità per aiutare la ripresa del Mezzogiorno».

Convincere l'Ue richiederà un grande lavoro di squadra al governo giacché la particolare natura della misura, se non supportata politicamente ad ogni livello, rischia di prestare il fianco a dubbi e perplessità anche in casa nostra. Non è un mistero che per arrivare al 2029 occorrerebbero più di 22 miliardi, considerato che dal 2025 in poi il taglio del 30% del cuneo fiscale diminuirebbe gradualmente, e l'ammontare della copertura (per il 2020-21 sono stati utilizzati 4 miliardi di fondi del React Eu) fa storcere il naso a molti, specie nel Settentrione. È vero anche però che prima di affrontare il nodo delle risorse è la risposta alla trattativa politica che farà la differenza: nel senso che l'Italia potrebbe anche trovare i soldi necessari ma senza il sì di Bruxelles sarebbe inutile. È per questo, ad esempio, che nella legge di Bilancio 2022 non si potevano prevedere importi per la Decontribuzione Sud: se, come tutto sembra indicare, arriverà la proroga almeno fino al 30 giugno 2022 sarà un emendamento a garantire la copertura delle risorse fino a quella data. 

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«Per noi la Decontribuzione Sud - dice Vito Grassi, presidente del Consiglio delle Regioni e della Coesione territoriale di Confindustria - va collocata nel più ampio tema della concorrenza fiscale fra gli Stati membri dell'Ue. Seguendo una logica anticipatoria dell'intervento pubblico nelle situazioni più arretrate, riteniamo che misure che riducano la pressione fiscale e contributiva partendo proprio dalle aree in ritardo e in difficoltà, per poi estenderle progressivamente a tutto il Paese, sia un approccio coerente con le logiche del Trattato di funzionamento dell'Unione e sia perciò negoziabile con la Commissione europea». La strada per procedere in questa direzione è peraltro già tracciata, insiste il vicepresidente di Confindustria: «L'intervento nazionale di forte riduzione del cuneo fiscale, attraverso l'esercizio della delega fiscale anticipato già nella legge di Bilancio 2022, potrebbe e dovrebbe essere attuato in un cronoprogramma temporale che conferma e rende strutturali le attuali decontribuzioni al Sud, per estenderle poi a livello nazionale». Insomma, c'è la possibilità di affrontare il tema per tempo e Confindustria è pronta a dare il suo contributo al governo.

I numeri, questo è certo, indicano che l'impatto della fiscalità di vantaggio sull'economia meridionale non è stato affatto trascurabile, pur senza dimenticare che da solo non riuscirebbe mai a ridurre il peso delle radici del divario. In base all'ultimo focus dell'Inps sulle agevolazioni contributive, emerge infatti che nelle nuove assunzioni (nei primi sei mesi del 2021 sono stati sottoscritti 592.000 contratti) «la parte principale tra le misure agevolative la fanno i contratti di apprendistato (274.161) anche se risultano in calo del 31,2%, e la misura Decontribuzione Sud con 190.608 contratti. Con una crescita del 221,5% rispetto al 2020 e del 112,6% rispetto al 2019».

«La fiscalizzazione del 30% degli oneri sociali insiste l'Unione industriali di Napoli sulla scia di un'attenta riflessione della Fondazione Mezzogiorno dev'essere applicata per un periodo congruo (7-10 anni) per ridurre il differenziale del costo del lavoro rispetto alle altre aree europee più competitive e va sostenuta con un forte impegno politico nei confronti dell'Ue». Ma in questa partita si inseriscono altre due fondamentali variabili: la politica industriale per il Mezzogiorno, l'unica area in Europa in cui il divario del Pil pro capite resta enorme, e il riordino degli incentivi nazionali che al momento rendono impossibile la Convergenza del Sud. Due nodi che potrebbero confluire nel tavolo di trattativa con l'Ue e forse aprire più di uno spiraglio sull'esito finale.

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