Donne e leadership, ecco perché alle aziende serve eliminare il gender gap

Arcese: «Secondo una ricerca effettuata da McKinsey la riduzione del gender gap permetterebbe di raggiungere ventottomila miliardi di dollari di PIL mondiale entro il 2025»

Il mondo del lavoro
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di Clara Lacorte
Lunedì 24 Aprile 2023, 14:03
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Negli ultimi anni con sempre maggiore frequenza, abbiamo assistito a campagne di promozione della parità di genere all’interno delle aziende nelle quali, purtroppo ancora oggi, le donne riscontrano difficoltà nell’ottenere ruoli apicali. Il gender gap perdura come un tema caldo soprattutto nel nostro Paese il quale si inserisce nel panorama globale come una delle nazioni con maggiore scarsa attenzione verso l’avanzamento di carriera delle donne.

Secondo il Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum, l’Italia si trova al 63° posto per l’indice composito sul gender gap. Dati sempre più allarmanti e ricerche recenti, attestano quanto le aziende abbiano poco a cuore la riduzione del gender gap ritenendolo come un fattore non prioritario all’interno della stessa. Eppure non si può non considerare come, di contro, diversi altri studi evidenzino quanto la presenza di più quote rosa porti a prestazioni migliori in campo aziendale, oltre che a benefici di tipo lavorativo ed umano di relazioni con il prossimo.

Tuttavia, nonostante questa consapevolezza, le donne che ricoprono ruoli dirigenziali come CEO, senior manager o direttori sono ancora davvero poche e quelle poche che riescono a raggiungere tali vertici si ritrovano a fare i conti con il pay gap, ovvero un pagamento diverso da quello assegnato agli uomini nella stessa posizione lavorativa.

In Italia, infatti, in termini retributivi il vantaggio appartiene ancora una volta agli uomini che percepiscono, secondo una stima riportata in un articolo de Ilsole24ore, in media circa il 20% in più dello stipendio rispetto alle donne.

«Anche se ci sono sufficienti prove del fatto che la parità di genere in ruoli di leadership costituisca un fattore positivo per le imprese, una grande maggioranza delle organizzazioni afferma che promuovere le donne in lavori apicali non rappresenta una priorità formale. Dieci anni fa, proprio con questo scopo, è stata promulgata la legge Golfo-Mosca che ha imposto quote di genere in consigli di amministrazione, collegi sindacali e società quotate in Italia e questo rappresenta il cambiamento più importante di empowerment femminile. La risposta più immediata è arrivata proprio dagli investitori che hanno risposto positivamente a questa iniziativa e verso le aziende che hanno eletto le donne nei board» afferma Annamaria Arcese, Sales Director di softwere e hardwere vendor multinazionali. 
 

Ma quali sono davvero gli ostacoli che impediscono alle aziende di agire in merito alla disparità di genere? Primo fra tutti ritroviamo il problema, come predetto, della priorità. Per molte aziende, infatti, inserire le donne nel tessuto lavorativo portandole a ricoprire ruoli dirigenziali non solo non rappresenta una priorità, ma non è neanche considerato dagli stessi come un vero vantaggio per l’azienda. Molte altre aziende, invece, affermano di considerare l’inserimento delle donne in posizioni apicali come sì una priorità ma di cui occuparsi in futuro. In sostanza, rimandano la questione perché forse affrontarla potrebbe significare riscrivere e riconsiderare l’intero sistema aziendale. In secondo luogo, gli uomini che si trovano ovviamente in posizioni apicali tendono a sottovalutare l’importanza del gender gap considerandolo come un problema presente più al di fuori del sistema aziendale, e quindi societario, che al suo interno. E di conseguenza proprio dall’incapacità di riconoscere tale problematica che deriva il terzo e fondamentale punto della questione: non si ritiene che la presenza femminile possa effettivamente condurre ad un aumento e miglioramento della produttività in seno all’azienda stessa. In sintesi, le aziende non reputano necessario aumentare le quote rosa in quanto si ritiene che non si possano trarre importanti benefici e, nello stesso tempo, vige la mentalità del rimandare il problema perché infondo non tocca di certo gli uomini e, quindi, perché curarsene?

Il problema, infatti, sembra essere proprio questo. Come poter cambiare questa mentalità e spingere le aziende verso una maggiore inclusione delle donne se poi sono gli uomini stessi a ricoprire ruoli apicali e, di conseguenza, a dover prendere in carico di tali decisioni? Dunque, il cambiamento non si può ottenere senza l’appoggio e la collaborazione degli uomini, i quali devono essere ben consapevoli dei vantaggi e delle opportunità che l’inserimento di più donne nelle aziende porterebbe. Senza questo tipo di convinzione e collaborazione tra le parti il cambiamento potrebbe essere ancora molto lento e difficile da produrre. D’altro canto introdurre le donne nei ruoli dirigenziali certamente significa per gli uomini anche rinunciare ad una posizione lavorativa particolarmente importante e decidere di far posto a qualcun altro. L’equilibrio pertanto è fondamentale e, come sottolineano diversi studi, le componenti sia maschili che femminili all’interno delle aziende sono fondamentali per ottenere davvero vantaggi significativi in termini di performance lavorativa.

Non va tralasciato però che tante aziende oggi si stanno muovendo in questo senso, con la promozione delle donne nelle posizioni dirigenziali di rilievo e attraverso un aiuto quotidiano e costante volto ad eliminare qualsiasi tipo di disparità di genere sul posto di lavoro.

«Secondo una ricerca effettuata da McKinsey la riduzione del gender gap permetterebbe di raggiungere ventottomila miliardi di dollari di PIL mondiale entro il 2025, secondo altri ricercatori americani le imprese in cui almeno il 30% delle board è rosa conquistano un incremento del 6% della quota di utile netto. Che cosa quindi devono fare le aziende? Adozione di sistemi di monitoraggio sistematico delle situazioni organizzative al proprio interno attraverso l’individuazione di indicatori chiave che consentono di monitorare l’interno percorso professione, in particolare delle donne dall’entrata in azienda, passaggio di ruolo con una verifica puntuale del loro percorso verso posizioni di responsabilità sempre maggiori. Al contempo verificare come questi percorsi si riflettano nel clima aziendale, nella performance» spiega l’imprenditrice Annamaria Arcese.

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Il rischio, inoltre, è quello di spingere sempre più donne a ricercare lavoro in quelle aziende che sono a favore del loro inserimento diventando così una perdita in termini di professionalità a preparazione per tutte quelle aziende che invece fanno ancora fatica a riconoscere l’importanza che il loro inserimento e della loro valorizzazione. La strada per la piena eliminazione del gender gap purtroppo sembra ancora lontana poiché spesso il messaggio positivo sui benefici che l’eliminazione della disparità comporterebbe viene eclissata dagli stereotipi ancora troppo forti e radicati sulle differenze, anche in termini di rendimento, tra uomo e donne.

L’auspicio però rimane lo stesso: le aziende devono preoccuparsi ora e non nel futuro di eliminare tutte le differenze presenti sul posto di lavoro e non pensare che si possa cambiare senza agire, rimanendo fermi a guardare.

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