Dpcm e ristori, per bar e ristoranti l’indennizzo copre solo parte dei danni: la serrata costerà 7 miliardi

Dpcm e ristori, per bar e ristoranti l’indennizzo copre solo parte dei danni: la serrata costerà 7 miliardi
Dpcm e ristori, per bar e ristoranti l’indennizzo copre solo parte dei danni: la serrata costerà 7 miliardi
di Michele Di Branco
Sabato 19 Dicembre 2020, 11:00 - Ultimo agg. 17:24
8 Minuti di Lettura

Quattrocento milioni, poi aumentati a 645 per il pressing di Iv e Pd, di sostegno ai bar e ristoranti costretti a chiudere durante le Feste. Soldi trovati in extremis dal governo. Qualcosa certo, ma decisamente ancora poco. Anche se si considera che in un anno normale a dicembre la ristorazione fattura 8 miliardi. Quest'anno non si andrà probabilmente oltre i 4 miliardi. Quattrocento milioni, insomma, sono solo il 10% del fatturato. Solo il giorno di Natale per il pranzo il fatturato del settore è di circa 300 milioni. Secondo i calcoli di Confcommercio, i negozi nel loro complesso dovrebbero bruciare 7-10 miliardi di fatturato tra Natale, Capodanno e la Befana. Il governo ha già investito circa 100 miliardi dall'inizio della crisi e non ci sono i margini per una ulteriore deviazione dei conti pubblici. Appuntamento rinviato a gennaio quando Palazzo Chigi chiederà un ulteriore scostamento di Bilancio, sul 2021, da 20 miliardi.

Soldi che serviranno a finanziare un decreto Ristori-quinquies necessario a indennizzare le perdite delle festività e a realizzare un intervento generale di ristoro perequativo che prescinda dai codici Ateco, dai gradi di rischio epidemiologico e guardi a quanto accaduto nel 2020 per compensare le perdite di fatturato (anche della filiera) registrate nella seconda parte del 2020. Verrà anche identificato un criterio temporale che vada al di là delle singole mensilità per non penalizzare una serie di attività che hanno natura stagionale. Nel provvedimento allo studio del Tesoro, dovrebbe trovare posto un ulteriore stop alle tasse. 

Video

La gastronomia

Questa volta il gruppo Castroni ha fatto bene i conti. Dopo la Pasqua completamente invenduta, «abbiamo comprato il 60% dei prodotti rispetto all’anno prima, non più mille panettoni ma 600 e così via». A parlare è Roberto Castroni, imprenditore dell’omonimo gruppo, titolare del negozio storico di via Cola di Rienzo e di quelli in via Frattina e viale Marconi. «Siamo andati al buio, tagliando un buon 40% di ordinazioni. E possiamo dire che questo è stato un Natale da 60%. Forse per il settore food anche migliore di quanto pensassi visto il momento tremendo che stiamo vivendo, anche se peseranno i mancati acquisti degli ultimi giorni».

Un marchio romano che si è difeso grazie ai romani, visto il turismo assente. «Queste misure ci danneggiano sicuramente per tutta la parte legata a fine anno come pure per la Befana, però l’80% del lavoro si sarà esaurito intorno al 23. 

A quel punto il Natale quest’anno è terminato: dal 25 al 6 gennaio rimarrà un invenduto, forse riusciremo a vendere un 10%. Ma ci siamo salvati e parlo a nome della categoria del settore alimentare. Siamo in guerra e noi siamo soldati, ci dicono di fare questo e lo facciamo. Siamo parte del popolo e subiamo le regole stabilite, non sappiamo cosa le giustifica. Ma il settore che chirurgicamente è stato colpito più di tutti è quello della ristorazione. Spero che arrivino interventi mirati per loro, che sono la colonna della nostra economia. In Italia siamo famosi per il mangiare, se saranno chiusi per i prossimi mesi rappresenterà un grosso danno a livello turistico. Siamo in contatto con tanti ristoranti chiusi. Il mancato acquisto di tutta una serie di prodotti di qualità da parte loro si ripercuote sui nostri fatturati. Parlo di tutte le specialità di un certo livello, dalle spezie ai risi, alle bottiglie importanti. Cose che non si trovano normalmente in giro». Ci mancava il Natale in modalità zona rossa. «Al centro in via Frattina subiamo la mazzata della mancanza del turismo, siamo al 50% in meno. I negozi rionali come all’Eur, Marconi e Parioli hanno subìto molte meno perdite perché hanno la clientela nella zona. Anche a Ottaviano una bella batosta, viveva di tanto turismo. A Cola di Rienzo registriamo un -30%, il negozio vive dei romani. Certo, ci hanno tolto gli acquisti dell’ultima ora, giornate importanti, ma si spera di riuscire ad ammortizzare. A Pasqua è stata una catastrofe, un bagno di sangue, abbiamo regalato migliaia di colombe e uova a tutta Roma». (Raffaella Troili)

La ristorazione

A sentirla parlare si percepisce un misto di rabbia e indignazione. Caterina Marchetti è nel suo ristorante “Il Ceppo”, storico locale di Roma nord aperto dal 1968. «Considero allucinate quanto accaduto, con un’indicazione data lo scorso 3 dicembre in cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte annunciava senza esitazione l’apertura dei ristoranti solo per il pranzo nei giorni di festa del Natale e ora tutto cambia». In queste due settimane la signora Marchetti non è rimasta con le mani in mano. «Tutti gli anni - dice - siamo aperti per il pranzo del 25 dicembre e pur con le riduzioni dei coperti già il 4 dicembre avevo 65 prenotazioni, ero al completo a tal punto che ho dovuto dire di no a molti clienti». Ora quei tavoli, che pure i suoi 14 dipendenti richiamati dalla cassa integrazione avevano iniziato a sistemare e a imbandire, resteranno vuoti. Le luci del locale spente e la cucina chiusa. 

«Non sono una negazionista - prosegue la titolare de “Il Ceppo” - l’emergenza c’è, io stessa ho avuto il Covid dentro casa ma il problema doveva essere affrontato con maturità e serietà». L’incertezza che ha tenuto banco fino a poche ore fa non cancella gli sforzi fatti per arrivare a poter lavorare il 25 dicembre ma anche a Santo Stefano e poi nel primo giorno dell’anno nuovo. I contraccolpi sono molteplici. Economici in primis «ma anche umani perché avevo clienti che venivano a pranzo a Natale da soli perché sono soli e ora lo saranno ancora di più». Finanziariamente «questo Natale non avrebbe colmato quanto perso durante gli ultimi mesi ma solo per arrivare a servire il meglio della nostra cucina - prosegue ancora la signora Marchetti - dovremo disfarci di moltissimi prodotti che non possono essere congelati». Va in fumo una spesa di «almeno 10-15 mila euro senza contare che avevo naturalmente previsto il rientro di molti dipendenti che sono già venuti a lavorare in questi giorni per preparare il locale ma anche i piatti, abbiamo fatto i tortellini a mano come sempre». Oltre «al danno anche la beffa - conclude la titolare dello storico ristorante - perché bastava non dire il 3 dicembre scorso che saremmo potuti restare aperti, che al contrario si doveva aspettare qualche giorno, capire giustamente l’indice dei contagi e decidere. Serviva maturità e invece ci troviamo in una situazione indegna». (Camilla Mozzetti)

L'abbigliamento

Gianni Battistoni, presidente dell’Associazione dei commercianti di via Condotti, è a casa con il Covid. «Io sono fuori gioco - dice rassegnato - ma sono anche spaesato da queste misure altalenanti. Prima ci fanno stare aperti, poi però se viene gente bisogna chiudere. Si confonde l’affluenza in centro, lo struscio, con la portata reale di chi vuole venire ad acquistare, che sono molto pochi». In effetti l’invasione nei weekend al centro di Roma non ha fatto svettare le vendite, poche catene per lo più a basso costo, erano “affollate”, ma Battistoni ricorda anche «che i negozi osservano tutti procedure rigorosissime, mentre fuori c’è il delirio. La verità è anche un’altra: l’Amministrazione ce la sta mettendo tutta per rovinarci, tra monopattini e mancate risposte. Potrebbe fare accordi con i tassisti o con i pullman turistici, per agevolare chi vuole venire visto lo stato dei mezzi pubblici. Ora poi con queste norme in continua evoluzione e contraddittorie il colpo di grazia, la gente si scoraggerà».  

E si chiuderà in casa prima del tempo, sui social del resto gira un post che dice “Dunque possiamo uscire di casa per comprare regali di Natale da dare a persone che a Natale non potremo vedere”. Dà il senso di come anche le famiglie abbiano affrontato con distacco lo shopping. «E tutta la catena distributiva è in difficoltà. Proprio in coincidenza di un periodo importantissimo per il commercio, quello in cui di solito anche le piccole aziende fanno il pareggio di bilancio, tra novembre e dicembre. Questo sarà ricordato come il Natale di Amazon e delle vendite on line». La stretta non ci voleva. «Le aziende si erano preparate a un periodo di vendite importante, almeno a Natale, quando non si rinuncia comunque a fare un regalo. A questo punto ritengo ridicolo aspettare il periodo dei saldi; quando uno non ce la fa più li fa». Passi il messaggio del “si saldi chi può”. «Di fronte a queste ultime decisioni non c’è nessuna difesa, rimaniamo perplessi nel vedere un Centro ormai morto anche grazie alla politica che le amministrazioni stanno portando avanti da anni. Comunque nemmeno la clientela alta si è vista dentro i marchi più importanti. Saranno contenti quelli che tuonavano contro il consumismo. Ma attenti che quando inizia un processo economico di questo tipo si rischia una crisi irreversibile, con perdita di posti di lavoro. Basta vedere le serrande abbassate, a via Frattina ci saranno 40 cartelli di affittasi». (Raffaella Troili) 

© RIPRODUZIONE RISERVATA