«Fonti rinnovabili, il Mezzogiorno è impreparato: ecco perché»: l'allarme del professor Meo (Aiet Federico II)

«Fonti rinnovabili, il Mezzogiorno è impreparato: ecco perché»: l'allarme del professor Meo (Aiet Federico II)
di Nando Santonastaso
Mercoledì 13 Luglio 2022, 20:07 - Ultimo agg. 16 Luglio, 10:23
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«Nel Mezzogiorno si concentra l’85% della potenza dei nuovi permessi richiesti per l’installazione di impianti di produzione da fonti rinnovabili. Gli impianti che attendono l’autorizzazione per essere realizzati, nonostante Terna abbia dato il suo nulla osta, ammontano a circa 95 GW: al ritmo attuale di 8 GW all’anno occorrerebbero oltre 10 anni solo per smaltire le attuali domande senza contare le altre che si accumulerebbero nel frattempo. Se venissero autorizzati con procedure straordinarie soltanto 60 dei 95 GW si svilupperebbe una produzione di circa 83 terawattora di energia all’anno e questo farebbe crollare la richiesta di gas di circa 20 miliardi di metri cubi all’anno, pari a circa il 66% del gas importato dalla Russia».

Le parole del professor Santolo Meo del Dipartimento di Ingegneria elettrica e delle tecnologie dell’informazione (Aiet) della Federico II danno il senso della forte preoccupazione emersa ieri al convegno organizzato dallo stesso Meo sul ruolo del Mezzogiorno e dell’ingegneria elettrica nello scenario della diversificazione energetica e delle risorse Ue.

Il rischio che il Mezzogiorno, dove pure si concentra la maggiore quota delle fonti rinnovabili per la produzione di energia solare ed eolica, sia impreparato di fronte ai nuovi scenari anche geopolitici che dovrebbero al contrario vederlo protagonista, è piuttosto reale. «E’ stato stimato – insiste Meo – che al Sud se si facessero partire questi impianti si genererebbe un giro di investimenti di circa 90 miliardi aggiuntivi rispetto a quelli del Pnrr. E non stiamo parlando di impianti che porterebbero ad un uso del suolo indiscriminato o non sostenibile».

Tempi lunghi, processi autorizzativi condizionati dalle procedure burocratiche. «In Italia – conferma Marco Zigon, patron del Gruppo Getra, leader nella trasformazione di energia – i costi del “non fare” sono evidenti: mille megawattora - persi ogni anno per le lentezze burocratiche e la cultura Nimby (le proteste ambientaliste, ndr). Eppure, gli investimenti energetici generano un effetto moltiplicatore tre volte superiore”. Ma è anche vero, come ricorda Meo, che per smaltire tante richieste di autorizzazioni bisogna fare i conti con la scarsa capacità organizzativa delle strutture amministrative, “e neanche la task force di 40 membri nominati dal Governo per accelerare” sarà sufficiente. Come fare, allora? Dal Dipartimento di Energia elettrica della Federico II arriva la proposta di dare vita a “fast track” (corsia preferenziale, ndr) in ogni regione per smaltire le migliaia di pratiche in attesa. “In questo l’Università e in particolare l’Ingegneria elettrica potrebbero dare un contributo se si costituissero commissioni in ogni Regione come quelle istituite dal governo e coordinate dal responsabile tecnico dell’ente territoriale», spiega Santolo Meo.

La strada è percorribile, dice Valeria Fascione, assessore regionale alla Ricerca, che ricorda come in Campania il coinvolgimento delle imprese da parte della Regione è da anni costante e produttivo, con risultati importanti sia sul piano della ricerca sia su quello dei progetti. “Bisogna però che si marci davvero nella stessa direzione, che non ci siano scollamenti tra ricerca e industria” ammonisce lo scienziato Luigi Nicolais. A anche che nella formazione delle nuove, necessarie competenze, “cresca l’appeal dei corsi universitari specifici in ingegneria elettrica presso i giovani”, dice opportunamente Vito Grassi, vicepresidente di Confindustria, sottolineando come in un mondo che cambia così rapidamente certe professioni hanno una strada pressoché privilegiata sul piano occupazionale. E invece ci sono appena 70 iscritti a questa laurea contro i 700 a Ingegneria elettronica alla sola Federico II.

Numerosi gli interventi al convegno, a partire da Emanuela Rossini, vicepresidente della Commissione Politiche e della Camera, per finire ai rappresentanti di Enel e Terna, al direttore del Dipartimento di ingegneria elettrica Fabio Villone e al professor Angelo Raciti dell’università di Catania, vicepresidente dell’Aiet.

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