Tim, Gubitosi e la missione sulla rete nazionale: «Internet veloce in 27 milioni di case»

Tim, Gubitosi e la missione sulla rete nazionale: «Internet veloce in 27 milioni di case»
di Roberta Amoruso
Lunedì 19 Novembre 2018, 08:05 - Ultimo agg. 20 Novembre, 11:19
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La missione è chiara è già ben definita. «Tim ha una grande storia ed un capitale umano da valorizzare» dice Luigi Gubitosi. Ed è questa la carta da giocare «per vincere la sfida del mercato, incrementare la generazione di cash flow per ridurre il debito ed esaminare con attenzione e velocità il progetto per la costituzione di una rete unica». Il primo pensiero del nuovo ad di Tim è tutto per i lavoratori, certo, ma anche per la minaccia Iliad, evidentemente, per il debito da 25 miliardi e naturalmente per il futuro della rete, la vera sfida per Gubitosi.

Oltre un decennio di dibattiti e di visioni alterne dei governi non sono bastati a fard decollare l'impresa. Ma ora l'asse tra il fondo Elliott e il governo, costruito con cura negli ultimi mesi e culminato con il ribaltone al vertice di Tim, ha cambiato completamene la prospettiva: il progetto di una rete unica nazionale, sotto il cappello più o meno largo dello Stato, sembra ora davvero possibile nonostante i nodi tecnici ancora da sciogliere. Perché per la prima volta il dossier della separazione della rete, diventato una priorità per Tim disposta a cedere sul controllo in linea con la visione del fondo Elliott, è finito anche nell'agenda delle priorità del governo. E la missione di Gubitosi sarà proprio quella di riuscire a far quadrare i numeri con queste priorità. Una missione complicata, lo dicono in molti. Per qualcuno si tratta di un'impresa quasi impossibile senza scaricare il conto dell'accordo sulle bollette degli italiani che vogliono la fibra. I piani del fondo Elliott (azionista di Tim con l'8,8%) e del governo, ben rappresentato nel capitale dal 5% di Cdp (che ha in mano anche il 50% di Open Fiber), devono poi fare i conti con le barricate che alzerà Vivendi, primo azionista con il 23,95% del capitale di Tim. Certo, Gubitosi ha dalla sua le competenze profonde maturate negli anni dell'esperienza in Wind, e ha già dimostrato da commissario di Alitalia come si può far tornare all'utile, seppure ancora fragile, una compagnia che stando alle parole di un ex ad come Maurizio Prato aveva bisogno di «un esorcista». Chissà che questa volta non serva davvero attivare i super-poteri per far decollare la rete unica.

GLI OSTACOLI
Va detto subito che l'obiettivo di mettere insieme le forze della rete Tim con quelle di Open Fiber per evitare un'inutile duplicazione di investimenti, è considerata da tutti più che legittima. E del resto, ipotizzando che le offerte di Tim e OF siano del tutto complementari, da un matrimonio delle due infrastrutture nascerebbe un colosso nazionale di tutto rispetto, capace di collegare in pochi anni fino a 26,8 milioni di abitazioni a banda larga (sui circa 35 milioni di abitazioni italiane): obiettivo peraltro condiviso dallo stesso Gubitosi.
Per spingere Tim a fare un passo indietro sul controllo della rete, finora difeso con forza un po' da tutti gli azionisti e i manager passati dal gruppo tlc, il governo ha preparato un emendamento ad hoc al Dl fiscale che sarà oggi votato dal Senato. Lo schema è fissato. Il governo darà più poteri all'Agcom per convicere Telecom a separare la sua rete. Come? Offrendo tariffe più vantaggiose in cambio di un passo indietro sul controllo. Si tratta di dare la possibilità alla nuova società di inserire gli investimenti necessari per la fibra in bolletta, secondo lo schema Rab (regulated asset base) già accordato a Terna. Non solo. L'intenzione del governo è di inserire nello stesso schema Rab anche il costo dei lavoratori (almeno 13.000 secondo gli analisti).
Un altro nodo particolarmente delicato da sciogliere riguarda i valori molto distanti tra la rete Tim (stimata in almeno 10 miliardi) e gli asset di Open Fiber che, anche considerando una valutazione generosa in base agli investimenti in campo, non supererebbe 4 miliardi.

In ogni caso, un ruolo centrale nell'operazione dovrebbe essere affidato alla Cdp, che potrebbe emettere un bond (garantito dalle tariffe) per finanziare l'acquisto in tutto o in parte della rete per poi conferirla, magari, a Cdp Reti.

Gli ostacoli insomma non sono pochi e il veto di Vivendi in assemblea rischia di far saltare il banco, sebbene non manchi il suo interesse all'operazione così concepita. Nel frattempo, almeno sul fronte politico, il cerchio sembra essere chiuso. Il ministro Luigi Di Maio promette di chiudere l'operazione entro l'anno, mentre il vicepremier Matteo Salvini precisa che «è meglio un controllo pubblico» per un'infrastruttura dalla quale passano dati sensibili. Infine, ieri, è arrivato il via libera anche da sinistra. «La direzione è condivisibile» per Antonello Giacomelli, ex sottosegretario alle Comunicazioni. Resta da capire che futuro avrà la nuova società dei servizi Tim (ServiceCo) orfana della rete, seppure con meno debito e meno costo del lavoro.

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