Rivoluzione green, quali conseguenze per l'industria italiana? Dall'acciaio alla ceramica, più difficile la transizione

Rivoluzione green, quali conseguenze per l'industria italiana? Dall'acciaio alla ceramica, più difficile la transizione
Rivoluzione green, quali conseguenze per l'industria italiana? Dall'acciaio alla ceramica, più difficile la transizione
di Andrea Bassi
Venerdì 10 Giugno 2022, 07:00 - Ultimo agg. 11:00
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Sul gas e sul nucleare l’Europa rischia di camminare con il passo del gambero. Prima in avanti per poi tornare indietro. Con la conseguenza di generare grande incertezza. La Tassonomia, ossia l’elenco degli investimenti che possono essere considerati “green”, era stata discussa e approvata lo scorso 2 febbraio dalla Commissione. Il nucleare era entrato nella lista soprattutto per le pressioni della Francia, che con l’atomo produce gran parte della sua energia. Il gas, invece, è ancora una fonte importante per le economie di Italia e Germania. Ma perché si era deciso alla fine di indicare il gas come fonte di «transizione»? Soprattutto per ovviare al principale problema delle fonti rinnovabili, la loro non programmabilità e la mancanza ancora di accumuli, di batterie insomma.

Un problema serio non solo per i rischi di blackout, ma anche per quelle produzioni industriali definiti «hard to abate», difficili da abbattere.

Si tratta delle industrie chimiche, del vetro, della ceramica, dell’acciaio a ciclo integrato, delle fonderie. Il loro peso sull’economia italiana è decisamente importante. Occupano 700 mila persone, producono il 5 per cento del valore aggiunto nazionale, 88 miliardi, più della metà della loro produzione è esportata verso mercati esteri. L’elettrificazione totale di queste industrie richiede tempo. E fa sorgere altre domande. La principale delle quali resta come si produrrà tutta l’energia elettrica necessaria alla transizione se si elimina il gas? 

La comunicazione europea RepowerEu stabilisce che dal 2029 le caldaie a gas non potranno più essere vendute. Anche i cittadini dovranno convertirsi all’elettrico attraverso le pompe di calore. Altra elettricità ancora da produrre. Secondo alcune analisi, la transizione porterà al raddoppio della domanda di energia elettrica nel mondo. Dunque resta centrale la domanda di come questa elettricità andrà prodotta. 

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Le rinnovabili, proprio per la loro intermittenza, non sono in grado di garantire la sicurezza del sistema energetico. L’eliminazione di altre fonti dalla Tassonomia, come il gas, rischia di far lievitare i costi della transizione stessa. Anche perché in Italia l’equilibrio della rete è assicurato da un meccanismo definito «capacity market», per cui ci sono delle centrali chiamate a produrre quando non c’è vento e le pale eoliche non girano, oppure di notte, quando il sole non riscalda i pannelli fotovoltaici. Centrali che sono alimentate proprio con il metano. L’altra strada possibile, ma in Italia è un tabù anche solo parlarne, è il nucleare pulito. Una tecnologia che usa un campo magnetico per confinare il plasma all’interno del reattore. Lo stesso meccanismo del sole e delle stelle. Al sicuro da qualsiasi pericolo di incidenti e produzione di scorie quasi del tutto azzerata. Nella tecnologia sta investendo l’Eni. Il problema è che le fonti energetiche che non troveranno spazio nella tassonomia, incontreranno gravi difficoltà di finanziamento. Saranno quindi, almeno in Europa, tecnologie perdenti. Non è detto che la Tassonomia venga effettivamente modificata. Si tratta di un tema molto divisivo anche all’interno degli stessi partiti europei. Il voto, insomma, è appeso alle decisioni dei singoli parlamentari. 

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