Inflazione in crescita, è corsa per agganciare prezzi e salari

Il governo ha raffreddato l'indicizzazione, che resta però consistente per gli importi medio-bassi: 100% dell'indice determinato dal Mef

Personale di un supermercato allestisce uno scaffale
Personale di un supermercato allestisce uno scaffale
di Marco Esposito
Martedì 6 Dicembre 2022, 11:00 - Ultimo agg. 16:53
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Una nuova spaccatura serpeggia nel Paese: quella fra chi è indicizzato all'inflazione e chi no. Finché l'aumento dei prezzi viaggiava intorno all'1% annuo non si faceva caso alla differenza tra listini liberi e indicizzati. Ma ora, con l'inflazione a due cifre, le cose cambiano e da gennaio, con l'aumento delle pensioni ma non dei salari, delle retribuzioni delle colf ma non dei rider, di alcuni affitti e non di altri, la spaccatura sarà evidente. E se alcune categorie deboli (i pensionati di importo medio-basso, le badanti) si troveranno per una volta avvantaggiate, presto scatterà la reazione dei soggetti forti, a partire dalle società telefoniche, pronte a rivedere i contratti agganciandoli all'inflazione sapendo che possiamo fare a meno di cinque gradi di riscaldamento ma di cinque minuti collegati al wi-fi.

L'inflazione per gli italiani non è una novità: l'incremento dei prezzi ha falcidiato il valore della moneta nazionale, la lira, a più riprese negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, con un record nel 1980 del 21%. Nei dieci anni 1973-1983 i prezzi in Italia aumentarono di cinque volte: quel che costava 10mila lire nel 1973 si pagava quasi 50mila lire nel 1983 con una folle rincorsa fra prezzi e salari, all'epoca rivalutati in automatico con la scala mobile.

Da tempo però l'inflazione non fa più paura, anche perché con la stabilità è stata la regola. Non è così in Germania, dove decenni di marco forte non hanno fatto dimenticare la tragedia del 1923, quando l'inflazione prese ritmi folli e in un anno i prezzi aumentarono di un miliardo di volte. 

Non è un caso se la Banca centrale europea è Francoforte. E non è un caso se dai comunicati ufficiali di questo autunno traspaia il timore che i cittadini europei considerino l'inflazione come un fatto acquisito, cioè immaginino che i prezzi continueranno a salire. In economia non è facile fare previsioni, ma se tutti si convincono di qualcosa, per esempio che i prezzi saliranno, ebbene tale aspettativa finirà col provocare davvero l'incremento dei prezzi. In Italia si sta andando in questa direzione, come ha segnalato il Censis nel suo ultimo rapporto. E ciò crea un forte divario fra chi è tutelato dall'incremento dei prezzi, per effetto degli automatismi oppure perché, come i commercianti, può senza troppe difficoltà incrementare i listini al consumatore, e chi invece è indifeso di fronte alla perdita del valore del proprio salario. Ecco una mappa di cosa è indicizzato, di cosa no e di cosa potrebbe diventarlo a breve.

Il governo con la legge di Bilancio ha raffreddato l'indicizzazione, che resta però consistente per gli importi medio-bassi: 100% dell'indice determinato dal Mef, pari al 7,3% (comunque meno dell'11,8% rilevato dall'Istat a novembre 2022). L'aumento si applica per tutte le pensioni fino a 2.100 euro lordi al mese. Per gli assegni da 2.101 a 2.625 l'incremento si riduce al 5,8%. Per pensioni da 2.626 a 3.150 lo scatto sarà del 4%, integrazione che scende ancora per importi superiori. 

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I contratti, in una categoria poco sindacalizzata, hanno la peculiarità di avere aumenti automatici, stabiliti dal ministero del Lavoro in base all'inflazione. Quest'anno dovrebbe scattare un incremento del 9%. La decisione è attesa per il 20 dicembre.

I contratti possono prevedere l'incremento automatico in base all'inflazione (integrale o al 75%) oppure possono essere fissi, con benefici fiscali per i proprietari. Le associazioni di categoria hanno stimato un vantaggio a passare al contratto indicizzato se l'inflazione supera il 6%. Quindi è prevedibile che alla scadenza anche intermedia del contratto molti proprietari comunicheranno agli inquilini l'amara novità.

Il trattamento di fine rapporto ha una rivalutazione automatica pari a 1,5 punti fissi più tre quarti dell'indice di inflazione. Con l'indice intorno al 10%, questo equivale a un incremento del 9%. Un beneficio consistente per chi si appresta a concludere la propria esperienza lavorativa, o per età oppure per un cambio di attività.

Il codice della strada prevede l'incremento automatico delle sanzioni in base all'indice dei prezzi Istat. La manovra di Bilancio però congelerà gli aumenti per i prossimi due anni.

I contratti attuali non prevedono aumenti automatici delle tariffe, però i principali gestori di telefonia fissa e mobile hanno annunciato il cambio di regime, che avrà effetti non immediati. I consumatori saranno avvertiti e avranno il diritto di recesso del contratto. Ma cambiare gestore, con tutta probabilità, non permetterà di evitare la norma sugli aumenti in base all'indice dei prezzi.

Quando l'inflazione è elevata e crescono stipendi e pensioni, si crea il cosiddetto drenaggio fiscale, cioè le tasse pagate aumentano perché si finisce in scaglioni più alti, senza che sia accresciuta l'effettiva ricchezza disponibile. Un effetto che in Italia è diventato evidentissimo proprio sul primo scaglione, fermo a quota 15.000 euro da venti anni. Ebbene: quei 15.000 euro del gennaio 2003 oggi, rivalutati a novembre, valgono 21.723 euro. Una differenza non da poco. 

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