Irpef, addizionali da rifare: le Regioni verso l’aumento

Dopo la riforma, gli enti territoriali dovranno adottare i nuovi scaglioni

Irpef, addizionali da rifare: le Regioni verso l’aumento
Irpef, addizionali da rifare: le Regioni verso l’aumento
di Luca Cifoni
Sabato 15 Gennaio 2022, 00:01 - Ultimo agg. 14:00
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Nuova Irpef, nuove addizionali. I lavoratori dipendenti e i pensionati italiani inizieranno a marzo a verificare l’impatto dello schema di aliquote e detrazioni approvato con la legge di Bilancio. Ma entro lo stesso mese le amministrazioni regionali e comunali dovranno ridefinire le proprie aliquote che per legge, - quando non si tratti di aliquota unica - devono essere modellate sullo stesso schema adottato a livello nazionale. Con la legge di bilancio lo Stato ha deciso di accorciare il terzo scaglione di reddito, quello che andava da 28 mila a 55 mila euro l’anno e che ora invece si ferma a 50 mila, e di unificare gli ultimi due. Dunque a livello nazionale ora si paga il 43 per cento già a partire da 50 mila euro (prima l’aliquota massima scattava a 75 mila) ma questo aggravio per la fascia alta dei contribuenti è compensato dai guadagni sugli scaglioni precedente.

IL SALDO

Come si muoveranno le Regioni e i Comuni? Soprattutto le prime hanno adottato, in maggioranza, il meccanismo a più aliquote che ora dovrà essere adeguato.

Invece viene applicata una sola aliquota in Abruzzo, Calabria, Campania e Sicilia, territori che dunque potrebbero anche non vedere alcuna novità. Va precisato che qualsiasi decisione non avrà un impatto immediato sui contribuenti, perché le addizionali vengono di fatto versate a saldo l’anno successivo a quello di competenza e questo riguarda anche lavoratori dipendenti e pensionati (anche se per il tributo comunale è previsto un acconto). Dunque l’effetto si vedrà il prossimo anno.

L’OBBLIGO

Le amministrazioni territoriali, che in queste settimane sono impegnate in prima linea (in particolare le Regioni) sul fronte pandemico, dovranno comunque fare le proprie scelte nelle prossime settimane. La legge che disciplina la fiscalità locale prevede oltre all’obbligo di usare lo stesso schema per gli scaglioni anche quello di differenziare tutte le aliquote. Il livello minimo del prelievo è fissato per le Regioni all’1,23 per cento, valore che può essere incrementato fino ad arrivare al massimo al 3,33. Per i Comuni invece il prelievo non può superare lo 0,8 per cento, con l’eccezione di Roma Capitale che per una esplicita deroga legata al percorso di rientro del debito può arrivare (e in effetti arriva) allo 0,9.

Per fare un esempio pratico consideriamo il caso del Lazio. Le attuali cinque aliquote, che corrispondono agli scaglioni nazionali in vigore fino al 2021, vanno dall’1,73 al 3,33 per cento. Una norma particolare limita però il prelievo al livello più basso per i contribuenti con reddito fino a 35 mila euro (o fino a 50 mila euro con tre figli a carico). Sulla carta, se venisse replicato meccanicamente lo schema del governo nazionale, il prelievo si inasprirebbe a partire dai 50 mila euro di reddito l’anno, dove scatterebbe l’aliquota massima del 3,33 per cento invece del 2,93 (fino a 55 mila) e del 3,23 (tra 55 mila e 75 mila).

IL BILANCIO

Naturalmente sia il Lazio sia le altre Regioni hanno la possibilità di ridefinire completamente la “scaletta” distribuendo in modo diverso il prelievo sulle varie fasce di reddito, a parità di gettito complessivo o addirittura riducendolo. Per imboccare questa strada, in assenza di risorse sostitutive da parte dello Stato centrale, dovrebbero però attingere ai margini del proprio bilancio che sono estremamente limitati soprattutto in una fase come quella attuale.

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