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Pensioni, stipendi e fatture: Irpef diversa per le detrazioni. Ecco tutti i casi da sanare

L’attuale Irpef sui redditi bassi e medi è più vantaggiosa per i lavoratori dipendenti

Pensioni, stipendi e fatture: Irpef diversa per le detrazioni. Ecco tutti i casi da sanare
Pensioni, stipendi e fatture: Irpef diversa per le detrazioni. Ecco tutti i casi da sanare
di Luca Cifoni
Articolo riservato agli abbonati
Domenica 22 Gennaio 2023, 00:47 - Ultimo agg. : 12:14
5 Minuti di Lettura

L’attuale Irpef non tratta allo stesso modo lavoratori dipendenti, pensionati e partite Iva. La differenza non sta nelle aliquote nominali, uguali per tutti, ma nelle detrazioni riconosciute proprio a fronte della particolare attività lavorativa. Detrazioni che originariamente servivano a compensare forfettariamente (soprattutto per i dipendenti) le spese sostenute per la produzione del reddito, come quelle per gli spostamenti da e verso il posto di lavoro. Ma che poi, con le varie riforme entrate in vigore nel corso degli anni, sono diventate piuttosto uno strumento per disegnare la progressività della curva dell’imposta, determinando di fatto un prelievo differenziato: fino alla soglia dei 50 mila euro l’anno è più alto in particolare per i redditi da lavoro autonomo, ma anche per quelli da pensione, rispetto a quanto pagano i lavoratori dipendenti. Ed è variabile - sempre per effetto della detrazione - pure il livello di reddito al quale si inizia a pagare: anche in questo caso sfavoriti sono gli autonomi, che diventano contribuenti a tutti gli effetti già con 5.500 euro l’anno, circa 3 mila in meno rispetto alle altre due categorie.

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Le partite Iva però da qualche anno si possono prendere una più che abbondante rivincita grazie alla flat tax, che a certe condizioni e fino a un tetto di 85 mila euro (in termini di ricavi) offre loro risparmi molto significativi, fino al dimezzamento dell’imposta. È proprio su questo assetto variegato che dovrà intervenire la riforma annunciata dal governo; certamente non sarà un’opera semplice.

 

LA DIFFERENZA

Vediamo allora nel dettaglio come si applica l’Irpef sui vari redditi. Il principale elemento di differenza è stato introdotto ormai quasi nove anni fa con il “bonus 80 euro”, riservato proprio al mondo del lavoro subordinato. Tecnicamente si trattava di un credito d’imposta, riconosciuto al lavoratore come voce separata (e visibile nella retribuzione) dopo la definizione di quanto dovuto al fisco. In seguito questo strumento è stato ampliato e gradualmente integrato nella struttura dell’Irpef. Ecco perché se partiamo da un livello di 10 mila euro l’imposta per i dipendenti è addirittura negativa: i 1.200 euro del bonus compensano ampiamente la somma dovuta sulla carta, lasciando al contribuente un saldo favorevole di 780 euro. Invece chi percepisce la stessa somma da pensionato deve pagarne 442 l’anno, mentre per le partite Iva il prelievo è addirittura di 1.188. In seguito alla riforma entrata in vigore dal gennaio 2022, sul piano tecnico il bonus è stato inglobato nella detrazione per lavoro dipendente, continuando però a produrre lo stesso effetto.

LA SOGLIA

Al crescere del reddito il divario si riduce progressivamente, restando comunque più che vistoso: così ad esempio un impiegato che guadagna 25 mila euro l’anno ne paga quasi 1.300 in meno rispetto a un pensionato di pari reddito, e circa 1.600 in meno se il confronto è con un artigiano sempre a parità di entrate. A quota 40 mila il vantaggio per il dipendente è ancora di circa 550 euro su chi ha un reddito da pensione e di 650 sulla partita Iva. A partire dai 50 mila euro l’anno la differenza si annulla, perché viene meno l’effetto delle detrazioni e quindi l’imposta (a parte gli “sconti” a cui i contribuenti hanno diritto personalmente a prescindere dall’attività lavorativa, per mutui spese mediche e così via) è calcolata solo sulla base delle aliquote: che come già accennato sono uguali per tutti. Dal 2019 però è entrata in scena la flat tax per i lavoratori autonomi, che in realtà estende, potenziandolo, il precedente regime forfettario. Da quest’anno poi la soglia di ricavi è stata portata da 65 mila a 85 mila euro e risulta quindi ampliata la platea di coloro che possono optare per questo tipo di tassazione. Vediamo come funziona con un esempio, ipotizzando il caso di un avvocato.

Va ricordato che l’aliquota del 15 per cento si applica sul reddito calcolato al netto dei costi, i quali a loro volta sono determinati forfettariamente in percentuale fissa: nel caso dei legali come di molte altre professioni è del 22 per cento. Quindi da un compenso annuale complessivo di 80 mila euro si arriva a un reddito di 62.400 euro, dal quale vanno poi dedotti i contributi previdenziali (l’aliquota del contributo soggettivo degli avvocati è pari al 15%). Il reddito ai fini Irpef scende così a poco più di 53 mila, sui quali la flat tax vale circa 8 mila euro. Sullo stesso importo l’Irpef ordinaria dovuta sarebbe stata quasi doppia, avvicinandosi ai 16 mila euro. Dunque in una situazione di questo tipo il lavoratore autonomo ha la possibilità di dimezzare la propria imposta, una chance che invece resta preclusa a un dipendente con reddito equivalente. Il vantaggio in realtà è ancora più consistente perché l’opzione per il regime forfettario consente di non versare nemmeno le addizionali regionale e comunale sull’Irpef, che per semplicità non sono state incluse nel conteggio ma rappresentano un esborso significativo in particolare in alcuni territori.

LE ENTRATE

Una riforma che punti ad unificare il trattamento delle varie categorie professionali è di sicuro nella linea dell’equità orizzontale: ovvero il principio per cui a parità di reddito il contributo chiesto dello Stato deve essere tendenzialmente lo stesso per tutti. L’idea di livellare verso il basso il prelievo, al 15 per cento dell’attuale flat tax, deve però fare i conti con la realtà dei numeri e con la voragine che si aprirebbe nelle entrate pubbliche, in assenza di altri introiti compensativi come ad esempio quelli che si possono ricavare dalla cancellazione o dalla riduzione delle varie agevolazioni esistenti. Resta poi sullo sfondo la questione dei redditi oggi sottratti all’Irpef, come quelli da capitale sottoposti ad imposte sostitutive.
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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