La crisi al Sud è senza precedenti nella storia, avverte l'Istat. Non per il basso Pil o per la carenza di lavoro - quelli vanno male da decenni - ma per il rapido impoverimento demografico dovuto a denatalità, invecchiamento ed emigrazione. «Tali fenomeni inediti - scrive l'Istat nel report sui divari territoriali pubblicato ieri - se non governati con urgenza possono far incamminare il Mezzogiorno verso un'involuzione radicale e molto problematica nella funzionalità e sostenibilità della propria struttura sociale». Termini tecnici ma drammatici, che descrivono un territorio - il più vasto di quelli arretrati in area euro - che si avvia al collasso. Citando la Svimez, l'Istat riprende l'immagine dello tsunami demografico. Carenza di lavoro, ma anche di servizi pubblici così come di qualità dell'istruzione, stanno sottraendo al Mezzogiorno il suo principale patrimonio: le persone. «Se non si riesce a porre un freno - scrive ancora l'istituto presieduto da Gian Carlo Blangiardo - le tendenze in atto possono condurre verso un'involuzione progressiva e non sostenibile del capitale umano di molta parte del Mezzogiorno, che storicamente è stato il suo principale patrimonio».
Nel rapporto, l'Istat si permette persino di peccare d'ottimismo. «A tendenze invariate - scrive - nel 2030 i residenti scenderanno per la prima volta sotto la soglia critica di 20 milioni di abitanti». Purtroppo è già successo, nel corso del 2022: in base ai dati più aggiornati (31 ottobre 2022) nel Mezzogiorno vivono ormai appena 19.830.000 abitanti.
Il senso del rapporto è spingere chi ha responsabilità di governo a un intervento «urgente», termine che non appare di frequente nelle fredde analisi dell'istituto di statistica. Sia per affrontare inaccettabili divari, come quelli nella qualità del sistema sanitario, nei servizi all'infanzia o nel sistema dei trasporti, sia per dare segnali di svolta a chi sta decidendo dove puntare le proprie fiches, se cioè restare o partire.
Ma c'è anche un problema chiave la cui soluzione va trovata soprattutto all'interno del Mezzogiorno: la qualità dell'istruzione scolastica. Nelle scuole del Sud Italia «le competenze degli studenti - sottolinea l'Istat - risultano più basse in tutte le discipline e il gap aumenta nei diversi gradi d'istruzione». Nei test Invalsi dell'anno scolastico 2021-22 il 42,7% degli studenti meridionali di V superiore presenta competenze molto deboli in matematica (contro il 28,3% in Italia; 15% nel Nord-Est) e solo il 6,7% si colloca a un livello molto buono (14,9% in Italia; 22,6% nel Nord-Est)». Non mancano, quindi, le eccezioni positive ma sono appunto eccezioni dietro le quali si prova a nascondere il sostanziale fallimento del sistema scolastico nel bilanciare i divari economici. Se si guarda alla capacità di comprendere l'italiano (cartina in alto al centro) dai test dei ragazzi di terza media emerge che in quasi tutte le province della Sicilia, in tutte quelle della Calabria e nelle province di Napoli, Caserta e Foggia i risultati sono i peggiori d'Italia, in compagnia solo con le province di Bolzano (dove però la lingua prevalente è il tedesco) e di Prato (dove c'è una fortissima comunità cinese). Ed è chiaro che le mancate competenze degli anni scolastici si traducono in una difficoltà dei giovani ad accedere al mondo del lavoro, con l'esplodere del fenomeno dei Neet, cioè dei ragazzi che non lavorano e non si formano. Uno spreco di risorse umane in nessun caso accettabile ma che diventa inconcepibile in tempi di involuzione demografica, in anni cioè nei quali il valore delle giovani generazioni per la società diventa cruciale.
L'Istat offre il suo dossier con dati e analisi perché «è compito della Statistica Ufficiale contribuire a valorizzare il potenziale informativo disponibile per sostenere il processo decisionale e valutativo». La mole di informazioni è pubblicata in coincidenza con il ripensamento delle politiche di coesione, sia quelle inserite nel Pnrr, sia quelle del ciclo 2021-27, perché mai come in questo periodo c'è disponibilità di risorse fresche (e non solo annunciate). L'Istat elenca così un vero e proprio decalogo di cose da fare o di temi da affrontare. La lista si apre con il divario del Pil (nel Mezzogiorno è il 55% del Centronord); prosegue con l'istruzione perché un terzo dei meridionali in età 25-49 anni ha al più la terza media (ma è troppo anche il 27,6% del Centronord); la persistente alta disoccupazione giovanile; la «preoccupante ripresa dell'emigrazione di massa»; al quinto punto si segnala una digitalizzazione che ha lasciato indietro il 17,3% del Mezzogiorno e il 4,2% del Centronord; segue poi il tema antico delle reti idriche colabrodo; inoltre «il Mezzogiorno presenta una dotazione di infrastrutture di trasporto visibilmente inferiore alle altre ripartizioni»; all'ottavo punto si torna sull'istruzione con i divari di competenze; al nono si evidenzia il tema degli asili nido; al decimo infine la qualità dei servizi sanitari. Ora nessuno può più dire: io non sapevo.
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