La zootecnica alimenta la crisi climatica: sempre più lontani dagli accordi di Parigi

La zootecnica alimenta la crisi climatica: sempre più lontani dagli accordi di Parigi
di Rita Annunziata
Lunedì 28 Settembre 2020, 16:00
4 Minuti di Lettura

Sono passati quasi cinque anni dall’adozione dell’Accordo di Parigi, il primo strumento universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici formalmente ratificato dall’Unione europea il 5 ottobre del 2016. Da allora, i governi si sono impegnati a mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto dei 2°C rispetto all’era pre-industriale, determinando nell’1,5% il massimo tollerabile. Un obiettivo raggiungibile unicamente attraverso due ulteriori traguardi: il dimezzamento delle emissioni globali di gas a effetto serra entro il 2030 e l’azzeramento delle emissioni inquinanti nette entro il 2050. Ma sebbene la promozione del Green Deal europeo sia rientrata fin da subito tra le priorità di Ursula von der Leyen e quasi otto cittadini europei su dieci concordino sul fatto che agire sui cambiamenti climatici renderà le aziende dell’Unione più innovative e competitive (secondo lo Special Eurobarometer 490 della Commissione europea), il cammino verso il raggiungimento degli obiettivi climatici non sembra essere privo di ostacoli.

LEGGI ANCHE L'Italia in fiamme dappertutto: i roghi non sono solo dolosi

Stando a un nuovo rapporto di Greenpeace, l’agricoltura raccoglie oggi circa un quarto delle emissioni antropiche totali, mentre il sistema agroalimentare contribuisce tra il 21 e il 37%. In questo contesto, gli allevamenti intensivi sono responsabili del 17% delle emissioni totali di gas serra dell’Ue, una percentuale superiore a quella di tutte le auto e i furgoni in circolazione (14%). Negli ultimi dieci anni, infatti, tali emissioni hanno subito un incremento di sei punti percentuali pari a 39 milioni di tonnellate di Co2, vale a dire l’equivalente di 8,4 milioni di automobili in più sulle strade europee. Un trend, spiega l’associazione, che costituisce «una seria minaccia per gli sforzi dell’Ue volti a rispettare gli impegni in materia del clima», anche se i contributi dei diversi Stati membri non sono equamente distribuiti (basti pensare che la produzione di carne e latticini è attualmente concentrata soprattutto in Italia, Francia, Germania, Regno Unito e Spagna).

Considerando le emissioni totali degli allevamenti nel 2018, i ricercatori hanno dunque calcolato che una riduzione del 50% della produzione zootecnica europea potrebbe consentire un risparmio di emissioni dirette di 250,8 milioni di tonnellate di Co2, un dato paragonabile alla somma delle emissioni nazionali annuali di Paesi Bassi e Ungheria. Qualora la contrazione raggiungesse poi il 75% si potrebbe generare un risparmio di gas serra di 376,3 milioni di tonnellate di Co2, più delle emissioni nazionali annue combinate di 13 paesi dell’Unione.
 


«I decisori politici hanno la possibilità di attuare misure in grado di spingere il settore a produrre meno e meglio, e i cittadini europei a modificare la loro dieta che, attualmente, vede un consumo di carne e latticini a livelli molto più alti di quelli raccomandati per la salute umana e dell’ambiente – suggerisce l’associazione – Affinché l’Ue possa sfruttare il potenziale di mitigazione del settore zootecnico è necessario e urgente riprogettare completamente le politiche alimentari e agricole, con il chiaro obiettivo di passare a un sistema di allevamento su piccola scala che sia ecologico e resiliente». 

In definitiva, per raggiungere gli obiettivi climatici l’Unione europea e i governi degli Stati membri dovrebbero portare l’obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2030 «almeno al 65% e impegnarsi a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette entro il 2040», conclude l’associazione. Per fare ciò, secondo Greenpeace bisognerebbe accompagnare gli allevatori verso il passaggio da un modello intensivo a pratiche ecologiche, stabilire dei limiti legalmente vincolanti in riferimento alla densità massima negli allevamenti (numero massimo di animali per ettaro, ndr) e fare in modo che tutti i propositi del settore e le correlate normative risultino anch’essi in linea con gli obiettivi climatici.
Oltre, infine, a una riduzione del consumo di carne e latticini di almeno il 70% entro il 2030 e dell’80% entro il 2050 rispetto ai livelli attuali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA