Sud, la voragine del lavoro: siamo tornati a trent'anni fa

Sud, la voragine del lavoro: siamo tornati a trent'anni fa
di Nando Santonastaso
Mercoledì 2 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 18:04
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C’erano 6 milioni e 600mila occupati nel Mezzogiorno nel 1992, la disoccupazione giovanile era al 44,8%, i passeggeri del trasporto pubblico superiori di un terzo a quelli attuali. Circa 30 anni dopo gli occupati a fine 2020 superano di poco i 6 milioni e la disoccupazione degli under 35 è risalita al 45,5%, con una quota femminile oltre il 40%. Le cifre ricordate dall’ex direttore dell’Agenzia per la Coesione territoriale Massimo Sabatini, in occasione degli Stati generali del Sud promossi e organizzati dalla ministra Mara Carfagna, restano drammaticamente sullo sfondo anche ora che si inizia a vedere qualche timido risveglio posto pandemia anche nella creazione di nuovi posti di lavoro. Perché il leggero incremento registrato ad aprile dall’Istat (20mila nuovi occupati in Italia rispetto a marzo) se da un lato conferma i segnali di ripresa del sistema produttivo nazionale, dall’altro conferma che la risalita sarà lunga e difficile (non a caso è di 177mila unità il saldo negativo su base annuale rispetto ad aprile 2020). 

Conforta il fatto che ad aprile le persone in cerca di lavoro risultano in «forte crescita» (870mila in più, pari al +48,3%), a causa «dell’eccezionale crollo della disoccupazione che aveva caratterizzato l’inizio dell’emergenza sanitaria», ricorda l’Istituto di Statistica. E va accolto con interesse anche il dato relativo alla diminuzione degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-6,3%, pari a 932mila in meno), che ad aprile 2020 avevano registrato, invece, un forte aumento. Ma i senza lavoro anche a causa della pandemia sono ancora un esercito, circa 850mila, e di essi un terzo almeno vive nel Mezzogiorno. A chi rischia il licenziamento quando finirà il blocco deciso dal governo (si parla di almeno 100mila lavoratori), a quanti potrebbero perdere il lavoro entro l’anno per la crisi irreversibile delle aziende di provenienza (Confindustria e Cerved nel loro recentissimo Rapporto Pmi 2021 li hanno quantificati in 320mila, come nel Nord est), a quanti sfuggono a qualsiasi emersione perché tuttora nascosti dal sommerso, vanno infatti aggiunti i circa 200mila lavoratori che non hanno più recuperato l’attività dopo le crisi del 2008 e del 2010. In questo caso parliamo di una peculiarità specifica del Sud dal momento che il tasso di recupero della stessa tipologia di lavoratori al Nord è pressoché azzerato.

Mancano all’appello soprattutto gli stagionali nelle regioni meridionali. E quelli del turismo sono la stragrande maggioranza. È probabile che il loro numero crescerà nelle rilevazioni di maggio e dei primi mesi estivi, stando ai segnali in arrivo da tutte le organizzazioni datoriali del settore. Anche nella manifattura e nei servizi, i più bastonati durante la fase acuta della pandemia, vengono segnalati in leggera ripresa da Confindustria che annuncia un rialzo degli investimenti privati e calcola in 130mila nuove assunzioni quanto è accaduto tra gennaio ed aprile scorsi, con la prospettiva di superare il 4% in più di Pil previsto dal governo e confermato ieri dall’Istat. Ma al momento resta negativo il saldo delle previsioni di nuove assunzioni a maggio indicate dalle aziende al sistema Excelsior di Unioncamere. Qualcosa si è già messo in moto, per la verità, ma mancano all’appello ancora 16mila unità rispetto a maggio 2019, il termine di paragone più credibile dopo il crollo dello scorso anno.
Che sia questa la fascia di occupazione ancora in ritardo lo confermano i dati Istat.

Ad aprile la lieve crescita degli occupati su base mensile è dovuta unicamente ai dipendenti a termine che risultano pari a +96mila (+3,5%). I lavoratori a tempo indeterminato e gli autonomi diminuiscono infatti rispettivamente dello 0,3% e dello 0,6% rispettivamente (-47mila e -30mila). Su base annuale il divario aumenta: il calo degli occupati degli indipendenti è di 184mila unità (-3,6%) e quello dei dipendenti permanenti arriva a 222mila unità (-1,5%). Se si considera l’eventuale, drammatico impatto su questi numeri dell’ex llva, dove sono attualmente occupati circa 8mila lavoatori diretti e almeno 5mila dell’indotto, si avrà la conferma di quanto resti delicato lo scenario per il Mezzogiorno dove, secondo le stime dei sindacati, sarebbero almeno 40mila i lavoratori delle industrie in crisi con tavoli aperti al ministero dello Sviluppo economico (da Whirlpool all’ex Fiat di Termini Imerese in Sicilia). 

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Del resto anche quando si sottolinea che il tasso di occupazione del Paese è al 56,1%, come ricordato sempre ieri dall’Istat, non si può dimenticare che a comporre quella percentuale ci sono, di fatto, due Italie: quella del Settentrione, che nonostante i passi indietro del suo sistema economico negli ultimi anni mantiene ancora un importante 73,1% mentre il Sud resta 20 punti sotto. È stato calcolato che per consentire a tutto il Paese di raggiungere la soglia del 70% del tasso di occupazione, pressoché in media con l’Ue, occorrerebbe aumentare quello del sud di almeno 1,5 punti all’anno per i prossimi dieci anni. Un traguardo che al momento appare a dir poco lontanissimo anche se la piena attuazione del Pnrr e delle altre misure legate ai Fondi strutturali europei, al React Eu e al Fondo sviluppo coesione potrebbero dare la spinta decisiva. Ma per scoprirlo bisognerà attendere, per fortuna non a lungo. 

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