Giovani e precarie, per le under 35 stipendi anche più bassi del reddito di cittadinanza

Giovani e precarie, per le under 35 stipendi anche più bassi del reddito di cittadinanza
di Valeria Arnaldi
Sabato 31 Ottobre 2020, 07:25 - Ultimo agg. 11:10
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Tra i banchi, superano - spesso di gran lunga - i colleghi uomini, per numero, rapidità negli studi, e perfino media dei voti: secondo il Rapporto di AlmaLaurea 2019 sul profilo dei laureati, nel 2018 il 58,7% di quanti hanno conseguito la laurea era composto da donne e il voto medio di laurea delle studentesse era di 103,7 su 110 a fronte del 101,9 dei ragazzi. Quando, però, si guarda al mondo del lavoro, la situazione si ribalta: le donne fanno più fatica e entrare, ancora di più a fare carriera, e sono pagate meno dei colleghi. Stando a un'indagine sulla discriminazione di genere presentata dal Censis lo scorso novembre, il tasso di disoccupazione per le donne in Italia è 11,8%, ma per le giovani tra 15 e 24 anni si arriva a 34,8%. Non solo. «Gli anni passano ma il copione si ripete sempre uguale - è il commento di Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Mef, alla relazione annuale sulle dimissioni volontarie di lavoratrici madri e lavoratori padri dell'Ispettorato nazionale del lavoro - Si conferma anche nel 2019 un fortissimo divario di genere: le dimissioni volontarie coinvolgono per il 73% le madri». 

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Il gender gap, già esistente - ed evidente - con il lockdown si è aggravato. Trovare un impiego è più difficile, per tutti, maggiormente, però, per donne e giovani. E, per le donne giovani la situazione è oltremodo complessa. «Ad oggi - spiega Felice Tiberia, vicepresidente Associazione Nazionale Giovani Consulenti del Lavoro - esistono agevolazioni per assunzioni di under 35 e per l'apprendistato, che interessano uomini e donne.

C'è, poi un bonus per l'assunzione di donne prive di impiego da 24 mesi, che taglia per il 50% i contributi Inps e il premio Inail per 12 mesi nelle le assunzioni a tempo determinato e per 18 mesi per quelle a tempo indeterminato». Tali misure però non sono sufficienti.

«Le donne - dice Licia Pera dell'Esecutivo nazionale USB - sono più discriminate sul lavoro e spesso precarie, nonostante il livello di scolarizzazione alto. Anche all'interno del precariato c'è discriminazione di genere. L'accesso al mondo dell'occupazione è difficile. Per una donna, oggi è un'impresa immaginare uno sviluppo professionale. Il tema della gravidanza, purtroppo, è ancora attuale. Le dimissioni in bianco non esistono più, ma il problema è stato superato in negativo, con impieghi precari e simili. La modalità più usata è il part time obbligatorio: ci sono donne che lavorano tutti i giorni per un tot di ore e hanno uno stipendio di 600 euro, più basso del reddito di cittadinanza». La questione non è solo dei singoli ma della società. «Il fatto che le donne non facciano più figli - continua - è determinato al 90% dall'inconciliabilità dei tempi di vita e impiego. Per far sì che le giovani possano lavorare senza dover rinunciare alla maternità occorre un welfare pubblico che funzioni».

La prima strategia per cercare di cambiare le cose è fare rete. «Nessuna si salva da sola - commenta Licia Pera - nel nostro Paese il patriarcato esiste ancora e si è ringalluzzito nell'ultimo periodo. Le donne si devono organizzare sindacalmente o comunque in associazioni. Il lavoro è uno strumento di emancipazione ma affinché lo sia realmente, deve essere buono, ossia retribuito ed effettuato nel pieno rispetto dei diritti della persona».

Al potere di unirsi in rete guarda anche Daniela Fumarola, segretaria confederale Cisl: «Ci deve essere una cittadinanza attiva più sviluppata. Il cambio culturale e la partecipazione devono iniziare già dalla scuola. I giovani spesso non vedono differenze, quando iniziano a lavorare, però, si scontrano con un sistema dagli schemi ancora tradizionali. Fondamentale, per le giovani donne è prendere parte alle attività di supporto alle realtà che stanno portando avanti battaglie per cancellare le diseguaglianze. È un'operazione culturale, deve essere portata avanti da tutti». Attenzione, associarsi non deve significare isolarsi. «Guai a tenere le questioni delle giovani donne separate dalle altre - prosegue Fumarola - bisogna che le problematiche di genere vengano assunte all'interno di un ragionamento più ampio».

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Insomma, da sole si può affrontare la battaglia, ma non si vince. Risposte devono arrivare dalla politica. «Deve essere agevolato il lavoro dei giovani e delle donne, di quanti sono stati esclusi dai processi produttivi e sono diventati invisibili - aggiunge - Le donne, allo stato attuale, vedono sempre più sfumare la possibilità di costruire il proprio progetto di vita, mettere su famiglia e avere dei figli».

Il problema dell'occupazione, ben chiaro per quante hanno appena terminato il loro percorso di studi, è in realtà ben più ampio. «A livello di ragazzi tra i venti e i venticinque anni la disparità sta cominciando ad affievolirsi - afferma Nicola Ferrigni, professore associato di sociologia Link Campus University - La questione emerge nel lavoro qualche anno dopo, quando la donna raggiunge un'età in cui ci può essere il matrimonio. Il modello discriminante è radicato e, dato il momento, rischia di inasprirsi sempre più».

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