Lavoro, i giovani occupati sono sempre di meno: aumentano gli over 50

Pesano il calo demografico e i contratti non standard per gli under 34 e le donne

Lavoro, i giovani occupati sono sempre di meno: aumentano gli over 50
di Nando Santonastaso
Giovedì 2 Marzo 2023, 07:43 - Ultimo agg. 16:40
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Sempre meno giovani occupati. Sono loro la categoria che più di ogni altra sta pagando le crisi del mercato del lavoro in Italia e al Sud in particolare. Negli ultimi dieci anni, gli under 34 al lavoro sono diminuiti del 7,6%, mentre quelli nella fascia 35-49 anni sono scesi del 14,8%.

Di riflesso, crescono i nuovi occupati tra i più anziani, con i 50-64enni che aumentano del 40,8% e gli over 65 che segnano un significativo e non del tutto sorprendente +68,9%. La fotografia dell'evoluzione del mercato del lavoro 2012-2022 scattata dal sesto rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, presentato ieri, rafforza la convinzione che in Italia la forza lavoro invecchia rapidamente e che per i più giovani l'ingresso nel mondo del lavoro resta un passaggio tutt'altro che scontato.

Si stima che nel 2040 le forze di lavoro nel complesso saranno diminuite dell'1,6%, soprattutto per effetto del calo demografico del Paese che al Sud sta toccando livelli importanti (in rapporto alla popolazione, si fanno ormai più figli a Bolzano che a Napoli come documenta il bel libro di Luca Cifoni e Diodato Pirone «La trappola delle culle»).

La precarietà dei rapporti di lavoro è ormai una costante: più di un lavoratore su quattro, infatti, secondo il Rapporto ha un contratto non standard (tempo determinato, part-time, collaborazioni). È una condizione che riguarda soprattutto le donne: Censis-Eudaimon stimano che quasi la metà delle giovani lavoratrici (il 46,3%) ha un contratto non standard, mentre il 20,9% ha dovuto accettare un part-time involontario. Ma la precarietà oltre che una questione di genere è anche un fenomeno generazionale. Nella fascia 15-34 anni, il 39,3% dei lavoratori dichiara di avere un contratto non standard. Alto, di conseguenza, il livello di insoddisfazione del lavoro di cui l'aumento delle dimissioni volontarie sarebbe l'inevitabile conferma (ma la tesi non convince tutti, come spiega Chiara Saraceno nell'intervista in questa stessa pagina).

E al Sud, in particolare, come vanno letti questi numeri? Il Rapporto non entra nel dettaglio delle macroaree ma che il tema sia da tempo all'ordine del giorno è un dato di fatto. Dice ad esempio Luca Bianchi, Direttore della Svimez: «Il fenomeno del calo dei giovani occupati riguarda tutto il Paese. La contrazione è stata significativa al Nord come al Sud ma nel Mezzogiorno ha avuto un impatto maggiore perché qui si partiva da livelli occupazionali di gran lunga più bassi. L'elemento più rilevante al Sud è che c'è un tasso di precarietà maggiore e soprattutto una più ampia presenza di lavoratori poveri, anche tra le giovani generazioni».

Difficile, di conseguenza, che un tema come quello delle dimissioni dal lavoro per cercarne uno migliore sia particolarmente sentito nelle regioni meridionali dove, come ormai è noto, il mercato del lavoro è più debole. «Piuttosto insiste Bianchi si deve parlare di un'altra occasione parziale persa per il Sud a proposito del ricorso allo smart working. Le aziende non si sono attrezzate in tal senso, almeno nella maggior parte dei casi, come dimostra l'ormai sbiadita opportunità del cosiddetto south working, di cui si parla ormai sempre meno».
Ma c'è un terzo ragionamento che il Rapporto Censis-Eudaimon inevitabilmente sollecita: ed è la sfida dell'istruzione, la madre di tutte le battaglie per ridurre davvero i divari tra Nord e Sud e all'interno delle due macroaree. Ancora Bianchi: «La scelta di studiare rappresenta per i giovani del Mezzogiorno un imperativo sempre più categorico perché è dimostrato che in assoluto hanno più possibilità di lavoro quelli che studiano rispetto a chi rinuncia all'istruzione. Ma attenzione: questo dato si associa purtroppo a quello dell'emigrazione dal Sud. Più studi, più sei costretto ad emigrare per trovare un lavoro adeguato al titolo di studio: è per questo che pur crescendo rispetto a dieci anni fa, l'occupazione al Sud non riesce a compensare l'elevata incidenza della fuga per il lavoro».

Il Rapporto Censis-Eudaimon parla di «un mercato del lavoro molto dinamico, in cui la ricerca di un'occupazione migliore (che per i giovani significa meno precaria) è la bussola che orienta le decisioni e i comportamenti». E spiega che la scarsa soddisfazione dell'attuale lavoro per molti (non solo giovani) ha almeno tre ragioni: «La difficoltà di fare carriera, segnalata dal 65% degli occupati; gli stipendi troppo bassi, soprattutto tra i più giovani (53%); la precarietà. Il 46,2% degli occupati, infatti, vive con la paura di poter perdere da un momento all'altro il proprio posto di lavoro». Per la verità, osserva ancora il Rapporto, il welfare aziendale è piuttosto migliorato nel decennio «e sarà sempre di più uno strumento essenziale per i responsabili delle risorse umane per rimotivare chi è già in azienda e per attrarre nuovi lavoratori, in particolare i giovani». Ma anche su questo versante, la percezione di un divario non in diminuzione si rafforza, specie se si considera che la stragrande maggioranza delle imprese soprattutto al Sud è di micro e piccole dimensioni. E che la lotta per sopravvivere è di gran lunga la loro priorità assoluta.
 

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