Il lavoro è più precario, al Sud la metà dei disoccupati del Paese

Il lavoro è più precario, al Sud la metà dei disoccupati del Paese
di Nando Santonastaso
Mercoledì 21 Settembre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 22 Settembre, 08:15
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Il bicchiere mezzo pieno in chiave meridionale “dice” che nel secondo trimestre di quest’anno «l’aumento del tasso di occupazione e il calo di quello di disoccupazione, diffusi in tutte le ripartizioni territoriali, sono più accentuati nel Mezzogiorno in termini sia congiunturali che tendenziali». Difficile parlare di svolta considerato che la variazione riguarda alcune decine di migliaia di nuove assunzioni, soprattutto a tempo determinato. E che al Sud, al giugno scorso, resta concentrato quasi il 50% del totale dei disoccupati italiani (poco meno di un milione) e il tasso di occupazione rimane distante più di 20 punti da quello del Nord (47,1 contro 68,2). 

Ma l’elemento di novità, almeno in parte, che emerge dai dati diffusi ieri dalle Comunicazioni obbligatorie trimestrali del ministero del Lavoro (che riflettono quelli aggiornati di Istat, Inps, Inail e Anpal) è un altro: se, come detto, i nuovi posti di lavoro a tempo rimangono in netta maggioranza (425 mila in più a livello nazionale, oltre tutto in crescita da ben cinque trimestri consecutivi), è la loro tipologia a soprattutto la durata a far riflettere. Neanche un contratto a termine su cento supera l’anno, il 37% delle nuove posizioni lavorative non supera i 30 giorni (ma si scende al 13,3% per quelli di un solo giorno), il 36% dura da due a sei mesi e soltanto lo 0,5% scavalla i 12 mesi (era l’1% nel primo trimestre 2022).

Anche il lavoro occasionale continua a crescere, in aumento del 10% rispetto allo stesso periodo del 2021 (l’importo medio mensile lordo della remunerazione effettiva risulta pari a 239 euro).

Complessivamente, aumenta soprattutto l’incidenza sul totale delle attivazioni dei contratti di brevissima durata (23,7% fino a una settimana), a riprova di una tendenza alla precarizzazione dei rapporti di lavoro che si è ormai consolidata ad ogni latitudine del Paese ma che al Sud trova ampi margini di diffusione. Per convincersene, basta dare un’occhiata alla specificità dei settori produttivi in cui questa dinamica occupazionale si è manifestata. 

L’aumento dell’incidenza dei contratti di brevissima durata (fino a una settimana) riguarda in particolare l’insieme dei comparti di pubblica amministrazione, istruzione e sanità (+4,9 punti rispetto al secondo trimestre 2021), i servizi di mercato (+3,7 punti), gli altri servizi (+7,7 punti) e il settore di alberghi e ristorazione (+11,5 punti) dove, però, aumenta anche la quota dei nuovi contratti con durata da sei mesi a un anno (+4,6 punti). Parliamo per lo più di comparti diffusi nell’area meridionale e nei quali, peraltro, il tasso di occupazione stagionale (specie nel turismo) è sensibilmente cresciuto con la ripresa post pandemia. Nell’industria in senso stretto, più diffusa al Nord, si riscontra invece una diminuzione dell’incidenza dei contratti di durata fino a due mesi a fronte dell’aumento di quelli con durata da due mesi a un anno (+2,1 e +3,0 punti).

Da questi elementi sembra arrivare anche la conferma di una tesi su cui la Svimez ha investito da tempo analisi e ricerche: e cioè che il mercato del lavoro al Sud, uscito senza grosse perdite dai due anni di pandemia grazie soprattutto alle misure di sostegno di governo e Regioni, rimane comunque molto indietro nella stabilità dei rapporti contrattuali. 

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L’offerta di occupazione cresce ma è per lo più precaria e di bassa qualità. «Nel primo trimestre 2022 – spiega l’Associazione nelle Anticipazioni del Rapporto 2022 - l’occupazione del Mezzogiorno è tornata a livelli del primo trimestre del 2020 con ancora 280mila posti di lavoro da recuperare rispetto al primo trimestre 2009. Il recupero è però interamente dovuto alla crescita dell’occupazione precaria (dipendenti a termine e tempo parziale involontario)». E ancora: «Dalla crisi del 2008, il progressivo peggioramento della qualità del lavoro, con la diffusione di lavori precari ha portato ad una forte crescita dei lavoratori a basso reddito, a rischio povertà. Intervenendo in un mercato del lavoro già segnato da una crescita dell’occupazione «senza qualità», la ripresa dell’occupazione nel Mezzogiorno si è concentrata sulla crescita del lavoro precario che ha spiazzato le forme di impiego più stabile». 

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Va peraltro ricordato che nella dinamica occupazionale di questi ultimi mesi si dimostrano sempre più decisivi due incentivi, l’evasione contributiva per chi assume giovani al Sud fino a 35 anni e soprattutto la Decontribuzione, ovvero la fiscalità di vantaggio per le sole imprese meridionali. Quest’ultima, in particolare, ha garantito la maggior parte dei rinnovi contrattuali a tempo determinato e la trasformazione, meno rilevante sul piano numerico, di una parte di essi a tempo pieno. In entrambi i casi, si sono rivelate misure decisive quanto meno a impedire che le conseguenze dei rincari delle materie prime e dell’energia e le conseguenze della guerra in Ucraina obbligassero le imprese a intervenire drasticamente sui contratti di lavoro, specialmente quelli meno protetti. Va però considerato che lo scorso anno, quello del boom della ripresa post pandemia del Paese, il part time involontario praticato al Sud sfiorava il 78% contro il 54,7% del Centro-Nord, che i dipendenti a termine erano il 23% del totale (specialmente donne) contro il 14,2% e i dipendenti con paga bassa il 15,3% rispetto al 14,1% del Centro-Nord. Ovvero, la disuguaglianza nella durata dell’impiego e nella tipologia contrattuale di lavoro si riflette anche sulle retribuzioni.

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