Mattoncino dopo mattoncino, ecco la storia di un piccolo, grande fenomeno che in 90 anni di vita ha strutturato l'immaginario di generazioni di bambini, continuando a vivere nella fantasia degli adulti, e riuscendo uno dei pochi casi al mondo a crescere negli ultimi due anni perfino dentro la tempesta perfetta di pandemia e guerra. Sono i Lego, le mitiche costruzioni, che hanno appena staccato un utile di 1,79 miliardi di euro. Un aumento del 33% del fatturato negli ultimi due anni che ha portato nelle casse del fondo danese Kirkbi, che controlla l'azienda, ben 13,3 miliardi di corone (1,7 miliardidi euro). I profitti sono più che quadruplicati e il rendimento degli investimenti è stato pari a 15,6 miliardi di corone (2,1 miliardi euro) nel solo 2021. Più di un record, un vero e proprio boom, soprattutto se si pensa che in fondo parliamo di un gioco per bambini nulla di necessario ma tutto così fondamentale - trasformato sapientemente in oggetto da collezione, da design, marchio di culto, vincente e trasversale, brand che parla da solo a un mondo sempre in movimento, e che è diventato capace di sovrapporre immaginario a immaginario, ingoiando la realtà vera e portandola nel virtuale, come fa con gli eroi del cinema (Star Wars), della letteratura per ragazzi (Harry Potter) e perfino con la guerra, visto che i Lego, per sublime assonanza con il loro stesso nome, si legano davvero a tutto: al gioco e alla tragedia. L'ultimo nato, nella sede di Chicago, aggregato coi mattoncini sapientemente da un rivenditore americano, è stato nientemeno che Zelensky in tuta verde mimetica. Una statuina un po' come a San Gregorio coi pastori profani sui presepi non più sacri venduta a cento dollari l'una, con tanto di molotov aggiunta (dieci dollari) per raccogliere complessivamente 16mila dollari e mandarli come aiuti umanitari proprio in Ucraina. Altro che giochi, questi mattoncini. Costruiscono scenari, disegnano prospettive, colorano fantasie, riempiono case, scaffali, scatole da collezione, si infilano nella realtà come fossero veri, proprio come certe animazioni. E poi dicono che dobbiamo insegnare ai bambini, invece che da loro imparare.
Il boom è iniziato proprio con la pandemia, nel 2020. La chiusura forzata in casa, la lunga assenza della vita sociale, i tempi morti di una vita che è ridiventata lenta, ha portato molti a tirare dalle soffitte le scatole dei giochi, a ritrovare un tempo familiare coi bambini. Grandi e piccoli di nuovo accovacciati nel salotto di casa. E sono ricomparse le costruzioni. Piegati sui mattoncini, a incastrare puzzle verticali, scene immaginarie, e tenerle lì: costruire nel virtuale quello che non si riesce più a fare nel reale. Così, nei mesi di lockdown, mentre le città si chiudevano nel silenzio, vivevano città di fantasia con colonne di mattoncini da salotto. Vendite on line arrivate a numeri da record, poi l'assalto ai negozi con le riaperture. Poi un boom che è proseguito senza sosta, fino a queste settimane, fino alla guerra che stringe la borsa del gas, del petrolio, dei carburanti, del mais, delle farine, delle materie prime, ma non dei mattoncini, gioco così povero, così essenziale, da non chiedere altro che se stesso. Così, nuove vendite, nuovi spazi, nuove crescite, e fatturati come non si sono visti mai. Ma i grandi successi economici e produttivi non sono mai solo figli delle circostanze. Quasi sempre, il frutto di sapienti azioni di marketing e di posizionamento. L'azienda danese, fondata nel 1932 da Ole Kirk Christiansen, un falegname a cui va a fuoco il deposito di trucioli di legno e che con quel che resta si inventa giocattoli per bambini che chiama Lego, ha sempre saputo tenere il passo.
Lego colloca i suoi store esclusivi in tutto il mondo. Il primo in Germania, il secondo nel Regno Unito, poi a New York. Nel tempo diventano 165 83 negli Usa, 20 in Italia -. Ma soprattutto, in tempi di globalizzazione, con le produzioni che si delocalizzano e vanno a cercare la manodopera al suo prezzo più basso, per poi vendere ai paesi che possono comprare, Lego fa una politica inversa: produce ovunque venda e cerca di vendere ovunque produca. Sono oltre cento gli stabilimenti produttivi in tutto il mondo, più di 18mila i lavoratori, la catena di approvvigionamento è corta, i costi logistici scendono, e questo diventa un punto di forza con la pandemia e la crisi della globalizzazione, come lo sta diventando ora con i costi aumentati di trasporti e carburanti. Uno sguardo sul futuro, uno sul presente, uno lunghissimo sul passato consentono a questo impero di mattoncini di essere proprio come sono: un gioco terribilmente serio, una colonna di risultati che, come una costruzione tirata su da un bambino, sembra crollare ma non crolla mai.