Milano, da città universitaria alla fuga dal carovita

La metropoli lombarda ha perso quest’anno due posizioni nel ranking Best student cities 2023

Milano
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di Rita Annunziata
Domenica 18 Dicembre 2022, 20:10
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Milano rappresenta ancora una calamita per studenti universitari e giovani lavoratori? Secondo una recente analisi di Quacquarelli Symond, azienda britannica specializzata nel campo dell’educazione e dello studio all’estero, la metropoli lombarda ha perso quest’anno due posizioni nel ranking Best student cities 2023 posizionandosi 48esima; complice l’alto costo della vita, tra tasse universitarie e affitti sempre più cari. Un tema, quest’ultimo, che ha contribuito a far scivolare la capitale economica tricolore anche dal secondo all’ottavo posto della storica classifica del Sole 24 Ore sulla qualità della vita, con un’incidenza dei canoni di locazione sul reddito medio che supera il 60%. Ma che, secondo gli esperti interpellati da Il Mattino, non lascerebbe presumere l’inizio di una fuga strutturale da Nord a Sud.

“La recente sequenza di crisi, dal covid alla guerra russo-ucraina alle tensioni inflattive, non mettono in discussione il ruolo di Milano. Anzi. Vedo semmai un consolidamento progressivo della sua immagine perché gode di una serie di caratteristiche che in periodi come questi vengono esaltate”, osserva Stefano Caselli, dean della SDA Bocconi School of management. “Innanzitutto, è un hub universitario straordinario.

Le classifiche colgono dei trend, guadagnare o perdere una o due posizioni fa parte del gioco. Sono dati che preoccupano poco, perché il numero di studenti internazionali, anche nei corsi executive, è in crescita”. Secondo Assolombarda, sono infatti 20.282 gli studenti internazionali iscritti nei corsi di laurea e post laurea delle università lombarde per l’anno accademico 2021-2022. Di questi, si contano 5.900 immatricolati, in crescita del +7% rispetto all’anno accademico 2020-2021.

Di conseguenza, continua l’esperto, in termini di competizione internazionale Milano resta un hub fortemente attrattivo. “Se invece si guarda alle dinamiche a livello di paese, sicuramente è più cara rispetto ad altre città italiane, come avviene in tutti i paesi europei quando si parla di capitali economiche. Ma è ancora presto per parlare di una dinamica Nord-Sud: dire che c’è un movimento da Nord a Sud (o da Milano verso la Campania per esempio) è un po’ troppo. La partita resta aperta”, conclude Caselli.

“Sul breve termine più che di una fuga di cervelli parlerei di una difficoltà dei talenti di sopravvivere in una città come Milano”, interviene Marzia Morena, docente di financial management of real estate transaction del Politecnico di Milano. “Però, rotto questo collo di bottiglia, non credo che la metropoli lombarda non rappresenti più un catalizzatore di talenti. La capacità di poter vivere certe esperienze e acquisire certe nozioni gode ancora oggi di una grande potenza di fuoco in questo senso”.

Quanto al tema del south working, termine con il quale si intende quella circostanza nella quale la modalità da remoto consente ai lavoratori di stabilire o ristabilire la propria residenza nel Mezzogiorno lavorando per aziende del Nord, secondo Morena resta una circostanza legata alla crisi pandemica. “Sicuramente il covid-19 ha accelerato in qualche modo alcune dinamiche, come quella dello smart working, ma oggi come oggi prevale la modalità ibrida, con una presenza dei lavoratori all’interno delle relative strutture per almeno due o tre giorni a settimana”. Come evidenziato nell’ultimo Osservatorio smart working della School of management del Politecnico di Milano, infatti, i lavoratori da remoto in Italia ammontano oggi a 3,6 milioni, quasi 500mila in meno rispetto allo scorso anno. A implementare tale modalità è il 91% delle grandi imprese, mediamente con 9,5 giorni di lavoro da remoto al mese; per le piccole e medie imprese si parla del 48%, in media per 4,5 giorni al mese.

“Non lo vedrei dunque come un trend, ma lo legherei a un periodo storico che mi piace dire che abbiamo lasciato alle spalle. Il south working, dal canto proprio, è stata una grande occasione per vivere il lato buono di questa situazione drammatica; ma non lo considero come un elemento che spingerebbe i giovani lavoratori ad abbandonare Milano in via definitiva. Potrebbe innescare piuttosto un ripensamento della città stessa, che inizia a puntare sui servizi di quartiere. Guardando infine al nodo-affitti, non dimentichiamo che tantissimi investitori, specie quelli internazionali, si stanno riversando sullo student housing (affittare case o stanze a studenti, ndr). Bisognerà capire quanto questo mercato sarà accessibile, ma in ogni caso consentirà di rispondere ai bisogni di quella fetta di giovani che oggi fatica a trovare una soluzione”.

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