Motori eco e crisi dei chip, il crollo dell'automotive mette in ginocchio il Sud

Motori eco e crisi dei chip, il crollo dell'automotive mette in ginocchio il Sud
di Nando Santonastaso
Martedì 28 Dicembre 2021, 07:46 - Ultimo agg. 16:56
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Il primo importante scricchiolio è arrivato da Bari. Alla Bosch, l'impianto industriale più importante della città, dove si producono motorizzazioni diesel e benzina (assorbono l'85% del totale delle produzioni del sito) circa 600 dei 1.700 dipendenti sono considerati in esubero. Ai dubbi sul futuro di propulsori che entro il 2035 dovranno andare in soffitta per via della transizione ambientale, si sono aggiunte le pesanti incognite determinate dalla crisi dei chip. Niente semiconduttori, meno auto in produzione (e dunque in vendita), meno componentistica: l'equazione fa meno 24,6% di prodotto, ovvero di nuovi autoveicoli da immettere sul mercato. È il crollo registrato dall'Italia a novembre scorso, performance peggiore in Europa dopo la Germania: tradotto in immatricolazioni, fa 1,46 milioni in dodici mesi. C'è di che preoccuparsi e il discorso vale soprattutto per il Mezzogiorno: perché è qui, dall'Abruzzo in giù, che si concentrano oltre l'80% del prodotto e la maggiore quota dell'occupazione diretta (la sola Stellantis tra Chieti, Pomigliano, Cassino e Melfi occupa circa 32mila dei 52mila dipendenti in totale), senza calcolare il peso, molto forte, dell'indotto (in Campania l'automotive dà lavoro tra diretti e indiretti a oltre 50mila addetti).



Il caso Bari, in altre parole, rischia di non essere isolato anche se molto, a partire da Stellantis, si capirà a marzo 2022 quando il Ceo Tavares presenterà il piano industriale del nuovo Gruppo. Per allora è assai probabile però che la crisi dei chip non sarà ancora finita e dunque previsioni e prospettive andranno sicuramente razionalizzate al massimo. «Ma è il passaggio entro il 2035 al motore elettrico che pone non pochi problemi di ordine produttivo e occupazionale: basterebbe pensare che nei prossimi anni diminuirà ancora la produzione meccanica europea e italiana perché serviranno meno alberi motore, guarnizioni, iniettori, pistoni, bielle, radiatori, filtri, pompe, termostati, spinterogeni e, ovviamente, meno cavi, viti e bulloni» dice con preoccupato realismo Raffaele Apetino, segretario della Fim Cisl della Campania. E aggiunge: «Il numero dei componenti per la realizzazione del motore elettrico è un decimo di quelli che servono per i motori a combustione tradizionale. Il che non può non avere un impatto enorme su tutta la filiera dell'automotive. In Germania il centro studi di Volkswagen ha stimato in 100mila i posti di lavoro che andrebbero persi da qui al 2030 se il trend verso l'elettrificazione proseguisse in base ai vincoli europei. In Campania sarebbero a rischio circa 17mila lavoratori, quasi un terzo dei 66mila previsti in tutta Italia, sul totale di 226mila addetti all'automotive».

Ma in chiave Sud le incognite sono anche altre. I sindacati, ad esempio sono da tempo preoccupati per la mancata firma del contratto relativo alla Gigafactory di batterie che Stellantis ha deciso di realizzare a Termoli.

Al grosso investimento del Gruppo dovrebbero aggiungersi 600 milioni di quota italiana ma, a quanto pare, la sigla dell'intesa continua a slittare. La strategicità dell'investimento è fuori discussione e per questo il ritardo nel completamento dell'operazione suscita qualche perplessità. Nel frattempo, però, chip permettendo, è sempre il motore a combustione al centro della scena. Proprio in Campania, nello stabilimento motoristico di Pratola Serra in Irpinia, Stellantis realizzerà il nuovo Euro 7 diesel che dovrebbe essere prodotto fino a 500mila esemplari ed essere destinato a tutto il Gruppo. Un investimento importante che garantisce all'impianto nuova linfa dopo i timori del recente passato. Restano confermati anche il Suv Tonale dell'Alfa, che uscirà da Pomigliano a giugno, e i 4 nuovi modelli previsti a Melfi, tra cui uno d Peugeot e uno di Lancia, destinati a quanto pare anche al mercato estero.

Segnali positivi, certo, in uno scenario che però è costretto a fare i conti con molte incognite, dai chip alla pandemia, alle riorganizzazioni aziendali. «La verità dice l'industriale Nicola Giorgio Pino, titolare del Gruppo Proma, uno dei leader della componentistica auto è che l'Italia rischia di essere la palla al piede di questo tentativo di ripresa del settore. Senza nuovi incentivi per l'acquisto, ad esempio, di auto Euro 6 in sostituzione di quelle circa 14 milioni - comprese tra Euro zero ed Euro 4, la ripartenza non sarà mai possibile. L'elettrico? A parte che oggi in Europa l'inquinamento da Co2 è nettamente più basso di tutti gli altri continenti e che l'auto contribuisce per meno dell'1%, basta fare un po' di calcoli per capire che l'elettrificazione di tutto il volume di auto circolanti in Italia impegnerebbe quasi il totale della produzione energetica occorrente al Paese, pari a 260 miliardi di Kilowattore, 40 dei quali importati dall'estero: si può mai pensare di riuscirci in così poco tempo?».

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