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Pa digitale e Recovery plan, Valerio D’Angelo ceo di Citel Group: «Resta un’esclusiva delle grandi città»

Valerio D Angelo, ceo di Citel Group
Valerio D’Angelo, ceo di Citel Group
di Rita Annunziata
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 16 Ottobre 2021, 20:00
4 Minuti di Lettura

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza dedica oltre sei miliardi di euro alla trasformazione della Pubblica Amministrazione in chiave digitale. Un pacchetto di risorse che attende di essere incanalato in riforme e progetti. In questo contesto, i piccoli Comuni sembrerebbero scontare ancora un certo ritardo. E anche una fame di competenze. Valerio D’Angelo, ceo di Citel Group (azienda napoletana che sviluppa soluzioni di intelligenza artificiale per la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione e delle aziende private), svela i motivi del gap. E le possibili soluzioni. 

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Quanto sono maturi dal punto di vista digitale i Comuni del Sud Italia? La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è ancora un’esclusiva delle Regioni del Nord e delle grandi città? 
«Purtroppo la situazione è abbastanza drammatica. Per due ragioni. Innanzitutto, mancano competenze interne in grado di costruire un piano di transizione digitale. Poi, ci troviamo spesso di fronte a interlocutori difficili da convincere, che vedono nel digitale un offensore alla propria attività piuttosto che un’opportunità. Ma questa situazione non riguarda solo i Comuni del Sud Italia, quanto tutti i piccoli Comuni. L’unica differenza con il Settentrione è che molti Comuni, sia più grandi che più piccoli, si stanno già dotando o erano già dotati di professionalità interne capaci almeno di comprendere quali sono le esigenze e come indirizzarle».

Di che professionalità stiamo parlando?
«Come un’azienda, anche una piccola amministrazione locale ha bisogno di un capo dell’IT, un responsabile informatico o del digitale che abbia un’esperienza nella gestione di progetti di digitalizzazione. A meno che, e qui iniziamo ad andare sui temi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, tali soggetti non vengano formati. Prima di parlare di denaro, in altre parole, è necessario parlare anche di consapevolezza e competenza».

Quali sono i vantaggi della trasformazione digitale per la Pubblica Amministrazione?
«Le opportunità sono enormi. Prima fra tutte, la riallocazione delle risorse umane dedicate ad attività a maggior valore aggiunto. Con una conseguente riduzione di costi. Il secondo grande risultato è avere cittadini più felici, che vivono in maniera migliore perché possono usufruire dei servizi digitali e di una maggiore rapidità. Basti pensare all’accesso all’anagrafe, ai certificati, al pagamento tributi. Da quest’ultimo punto di vista, si tratta di un’opportunità anche per i Comuni: se si digitalizza la riscossione delle tasse si dà un’opportunità in più a chi non paga per pigrizia o perché non sa come farlo».

L’intelligenza artificiale può rappresentare una leva per moltiplicare gli effetti della transizione digitale sulla pubblica amministrazione? In che modo?
«Le opportunità sono enormi. Attraverso questi strumenti, oramai estremamente collaudati, è possibile abbattere il costo umano, garantendo al cittadino un servizio 24 ore su 24 e sette giorni su sette. Ma anche fornire supporto turistico, indicando i percorsi da fare, consentendo di acquistare i biglietti dell’autobus o fornendo una serie di informazioni. Oltre ad assolvere tutte quelle funzioni legate proprio al servizio comunale: la differenziata, l’anagrafe, il recupero delle imposte».

Ci sono anche dei rischi per i cittadini? Se sì, a cosa prestare attenzione?
«Le minacce sono relative e basse. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza impone tre strade alla pubblica amministrazione: cloud first, sicurezza e servizi digitali. La vera minaccia potrebbe derivare teoricamente dalla sicurezza, perché più ci si digitalizza più si conservano i dati in luoghi eventualmente poco sicuri. Però se tutto è messo in atto sulla base di standard qualitativi (definiti a monte da professionisti eccellenti come quelli dell’attuale comitato tecnico-scientifico dedicato alla digitalizzazione e governato dal ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, Vittorio Colao) che devono essere poi calati su tutto il territorio nazionale, non vedo pericolo alcuno ma solo opportunità. Perché anche il tema della sicurezza diventa gestibile».

Quali sono dunque i gap? E in che modo il Piano nazionale di ripresa e resilienza può contribuire a colmarli?
«Bisogna partire dall’infrastruttura e dal digital divide, perché ancora oggi purtroppo buona parte dell’Italia non è connessa. L’altro tema è applicativo: bisogna dotare questi Comuni di linee guida molto chiare e quasi deterministiche o questa transizione non avverrà mai. Le pubbliche amministrazioni locali, inoltre, devono essere standardizzate a livello nazionale e devono avere una roadmap applicativa da perseguire entro determinati tempi, perché i fondi ci sono. Non è possibile che a un cittadino milanese vengano garantiti dei servizi digitalmente e a un cittadino napoletano no. E parlo di due grandi metropoli. Inutile pensare ai Comuni sotto i 40mila abitanti».

Su quali risorse fa leva?
«Alla transizione digitale sono stati destinati 50 miliardi di euro. Oltre sei miliardi saranno dedicati alla trasformazione della pubblica amministrazione. Come questi fondi saranno distribuiti, non è stato ancora definito. Mi auguro che questo governo, o eventuali futuri, portino avanti quanto promesso. In alternativa, sarà un altro buco nell’acqua».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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