Pil, il contributo del Sud rende solida la ripresa

Pil, il contributo del Sud rende solida la ripresa
di Nando Santonastaso
Venerdì 13 Agosto 2021, 07:35
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C'è già stata, in tempi recenti, una stagione in cui l'Italia cresceva più dei Paesi europei o meglio delle loro regioni più dinamiche. Era il 2017 ma quella era una mezza Italia, perché l'incremento del Pil apparteneva pressoché interamente alle sole aree del Settentrione, con una modesta incidenza di Marche e Toscana. Stavolta invece è il Paese intero ad essere considerato il campione d'Europa non più solo del calcio ma anche della crescita economica del 2021. Il rimbalzo della ripresa nei primi due trimestri è stato superiore alle previsioni e la tendenza su base annuale ipotizza un tasso persino più vicino al 6% che al 5,2% delle più rosee previsioni di qualche mese fa. E se è vero, come ampiamente dimostrato (Svimez, Istat) che il Nord è ripartito prima, il contributo del Mezzogiorno al Pil nazionale sarà persino superiore, sebbene ancora pesantemente zavorrato dal mancato recupero del tonfo di 10 punti dal 2008.

Indicativo, in proposito, il segnale che arriva dai consumi al Sud certificato in questi giorni dall'Osservatorio Confimprese-EY: nei settori ristorazione, abbigliamento e non food le regioni meridionali non insulari chiudono a giugno con un meno 13% rispetto al 2019 che è un dato migliore del meno 19% del Nord Ovest e del meno 22% del Centro (il totale semestrale indica comunque ancora un ritardo complessivo del Paese del 44% rispetto a due anni fa). La Campania, a giugno aveva chiuso a meno 16% rispetto al meno 25% di maggio, Napoli a meno 18% rispetto a meno 36% del mese precedente. E che una spinta forte sia arrivata soprattutto dai servizi lo ha spiegato La Stampa citando l'indice Pmi (Purchasing Managers Index, che monitora gli acquisti dei direttori degli acquisti delle imprese): «A giugno il comparto dei servizi ha toccato quota 56,7 punti. Considerato che sopra i 50 punti il Pmi registra un'espansione, si può affermare che la strada verso la (nuova) normalità è stata intrapresa».

Siamo dunque alla svolta per il forse ex grande ammalato d'Europa o l'exploit sarà temporaneo, destinato ad esaurirsi per cause non solo endogene in tempi ravvicinati? Economisti, esperti e osservatori di dinamiche del genere non si esaltano preferendo la cautela, specie dopo la frenata segnalata dal Centro studi di Confindustria a proposito della produzione industriale nel terzo trimestre. Per non parlare delle incognite legate alla crescita del debito pubblico, all'aumento del costo delle materie prime che rischia di incidere non poco sulle produzioni di molte industrie e sul pericolo che l'inflazione salga più velocemente del previsto già entro quest'anno. Eppure, a ben guardare, la sensazione che il Paese possa liberarsi almeno in parte dei suoi antichi freni sembra piuttosto diffusa. «I settori che registrano i risultati migliori riguardano soprattutto i servizi, in primis il turismo e la ristorazione, i più colpiti peraltro dalla pandemia, e la produzione industriale che registra un aumento di 1,1% rispetto al trimestre precedente. Le stime non sembrano sicuramente episodiche ma il frutto di una rinascita spontanea dei consumi, specie nel turismo e nella ristorazione, dopo numerosi mesi di chiusura e di freni anche alla vita quotidiana» dice Giuseppe Arleo, coordinatore dell'Osservatorio Next Generation del think tank Competere.eu.

E aggiunge: «Ma ci sono almeno due considerazioni da fare: la prima è la grande incognita di una nuova frenata determinata dal ritorno della pandemia a livelli pericolosi che sicuramente frenerebbe la crescita di settori strategici; la seconda è invece meramente tecnica e riguarda l'applicazione di corrette procedure e prassi nell'utilizzo dei fondi stanziati con il Pnrr.

Mentre la prima incognita è quasi imprevedibile almeno nel mediolungo periodo, la gestione invece dei fondi del Recovery Plan non potrà prescindere nel brevissimo periodo dalle riforme della Pubblica Amministrazione e del fisco, e dall'impulso forte all'innovazione e alla digitalizzazione. La cattiva gestione delle risorse, come spesso avvenuto in passato con i fondi europei, avrebbe stavolta un impatto enorme sulla nostra economia facendoci ritornare a dove eravamo, con la crescita annua dello 0,4%, tra gli ultimi posti in Europa».

Le riforme, dunque, la vera incognita sulla durata della ripresa? La pensa così anche Pino Di Taranto, economista della Luiss Guido Carli che ne ha scritto peraltro in questi giorni anche sul quotidiano spagnolo El Periodico: «La cura Draghi sta funzionando dice e riforme importanti, legate alla condizionalità europea sull'utilizzo delle riforme, sono state già approvate, dalla Pubblica amministrazione alla Giustizia, alle semplificazioni. Ma non basta perché, ad esempio, proprio sulle semplificazioni bisogna fare di più per evitare che una gara di soli 300mila euro in Italia giunga a conclusione dopo 4 anni, per non parlare degli appalti più importanti per i quali si arriva anche a dieci anni, soprattutto nel Mezzogiorno. E poi stiamo attenti a ciò che accadrà nel 2023: perché rischieremmo di trovarci tra due fuochi, il rigore da un lato se verranno ripristinate le vecchie regole europee oggi sospese e le politiche espansive dall'altro. In questo caso l'impatto sul debito pubblico sarebbe pesantissimo».

«L'andamento del Pil nel primo semestre di quest'anno spiega Fabio Pompei, ad di Deloitte Italia, una delle più note società di consulenza finanziaria e di revisione contabile, con una Academy insediata e con successo al Polo tecnologico della Federico II a San Giovanni a Teduccio - rappresenta una significativa iniezione di fiducia ma va letto con cautela, soprattutto quando si confronta con gli andamenti economici degli altri principali Paesi europei. La distanza del Pil italiano rispetto ai livelli pre-Covid (fine 2019) è di -3,8%, contro il -3,4% della Germania e il -3,3% della Francia. Se si prende a riferimento la Germania, che da sempre è considerata la vera locomotiva d'Europa, è vero che nel 2021 la sua crescita è risultata, finora, meno robusta di quella registrata in Italia, ma bisogna anche considerare che la caduta del Pil tedesco nell'anno della pandemia è stata decisamente più contenuta di quella registrata in Italia (-4,9% contro -8,9%)».

Morale: niente illusioni ma piedi per terra perché, insiste Pompei, «sarà importante valutare come si concluderà l'anno in corso. La condizione dell'economia italiana appare ancora positiva nei mesi estivi ma alle viste è possibile un rallentamento nel terzo e nel quarto trimestre, rispetto ai forti ritmi registrati nel secondo (+2,7% il Pil). Tale frenata appare spiegata non tanto da una carenza di domanda, bensì di offerta. I problemi riguardano principalmente il settore industriale, dove l'attività comincia a risentire della carenza di materie prime e della scarsità di componenti, che frenano la produzione e ritardano le consegne, come sta già avvenendo in Germania, dove si attende un rimbalzo meno corposo del Pil rispetto a quello italiano. Sui servizi pesano anche le incognite legate alla variante Delta e a nuove possibili restrizioni a partire dall'autunno». Insomma, faremo bene a «tornare ai livelli pre Covid il prima possibile, senza perdere terreno rispetto a chi riuscirà a farlo già entro la fine del 2021. Per farcela bisogna rendere strutturale la ripresa, dando concretezza alle riforme presenti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. L'imperativo è supportare le imprese nella crescita e rendere competitivo il Paese attraverso la digitalizzazione. Sprecare il vantaggio positivo accumulato nei primi sei mesi di quest'anno sarebbe un errore che non possiamo permetterci», ammonisce il manager.

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