Pinoli, prezzi alle stelle per la strage delle pigne

Pinoli, prezzi alle stelle per la strage delle pigne
Pinoli, prezzi alle stelle per la strage delle pigne
di Valeria Arnaldi
Lunedì 11 Ottobre 2021, 10:00 - Ultimo agg. 10:02
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Raccolti all'ombra dei pini e aperti, aiutandosi con un sasso, ricordano giochi infantili. Usati per preparare il pesto alla genovese rientrano tra le icone del gusto made in Italy. E come ingredienti per la torta della nonna - e molti altri dolci - regalano a qualunque contesto l'atmosfera di casa. Gli italiani amano i pinoli, ma non li producono quasi più. I quantitativi raccolti, infatti, negli ultimi anni, sono drasticamente calati. La causa è da ricercare, in parte, nei cambiamenti climatici, tra gelate fuori stagione e lunghi periodi di siccità, spezzati da bombe d'acqua. Da qualche anno, però, a mettere in difficoltà il comparto, è soprattutto un parassita: il Leptoglossus occidentalis, detto cimicione delle conifere, originario del Nord America. 

«Pungendo i frutti, il parassita fa abortire le pigne che rimangono vuote - spiega Lorenzo Bazzana, responsabile Ortofrutta di Coldiretti - Il calo nei raccolti è stato duro.

In dieci anni siamo passati da una produzione di 880-900mila quintali di pigne agli attuali 80-90mila quintali. La produzione dello scorso anno, inoltre, è stata particolarmente scarsa, a causa della siccità. In alcune zone di raccolta, da maggio ad oggi non c'è stata pioggia». Gli effetti si vedono anche nei prezzi, che per il pinolo mediterraneo, in un decennio, sono saliti vertiginosamente, passando dai circa 30 euro al chilo agli oltre 65, e arrivando fino al picco di rialzi del 136%. 

«In Italia consumiamo 4.000 tonnellate di pinoli all'anno, ma in questo momento ne produciamo all'incirca 200 tonnellate, secondo le stime - prosegue Bazzana - la raccolta nel nostro Paese avviene, perlopiù, nelle pinete costiere, sui litorali laziale e toscano. A causo del calo degli ultimi anni, ormai siamo quasi completamente dipendenti dall'estero, specie da Cina e Pakistan». Il problema peraltro non è solo italiano. Nel 2004, i Paesi del Mediterraneo producevano circa 5.500 tonnellate di pinoli sgusciati, come riportato da Riccardo Calcagni, ceo di Besana, società, fondata nel 1921, per la commercializzazione di frutta secca, alla Nut Fruit Conference 2020, congresso mondiale organizzato da International nut & dried fruit council. Appena sei anni dopo, nel 2010 la produzione era calata a 5.100 tonnellate. Nel 2019 la produzione si è fermata a 2.040 tonnellate. Intanto, in Russia, Cina e Corea del Nord, ad oggi tra i principali produttori, i raccolti sono cresciuti in modo sensibile, arrivando perfino a triplicare. «Il parassita, in Italia, è apparso per la prima volta, nel 2006, sulle coste romagnole - dice il professor Luca Gorreri, funzionario Ente-Parco Migliarino San Rossore Massaciuccoli, in Toscana, che collabora con Cia-Agricoltori Italiani - e dopo due anni è stato rinvenuto nel grossetano, poi si è spostato, arrivando pure sulla costiera campana. L'antagonista è stato individuato, ma si tratta di una specie esotica, che non può essere usata nella lotta biologica sul territorio. I danni per il settore sono stati fortissimi». Federico Grassini, titolare di Grassini Pinoli, azienda di Campo di San Giuliano Terme, nel pisano, specializzata nella raccolta, lavorazione e vendita diretta di pinoli naturali, commenta: «La situazione è difficile. La produzione è calata del 95%. Prima, a cento chili di pigne verdi corrispondeva una raccolta di quattro chili di pinoli sgusciati. Oggi, lo stesso quantitativo di pigne permette di avere tra un chilo e un chilo mezzo appena di pinoli sgusciati. 

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Il parassita attacca la pigna quando è piccola e, succhiando la sua linfa, la secca. Le altre sullo stesso ramo hanno pinoli ma sono vuoti». E ancora: «Molte aziende sono state costrette a chiudere. Per i produttori di altri tipi di frutta, in situazioni simili a questa, sono stati previsti aiuti, ma nel caso dei pinoli, le aziende sono state lasciate sole». Il calo nei raccolti si fa sentire anche a tavola. «I pinoli italiani sono molto diversi da quelli importati - dichiara lo chef Alessandro Circiello, portavoce della Federazione Italiana Cuochi - Cambiano gli oli essenziali, le proprietà, i sentori. E anche il gusto. Quelli importati sono più amari. Sarebbe meglio usare sempre quelli nazionali. Se non si può fare, si deve utilizzare qualche accortezza per impiegarli in cucina. Per fare il pesto, occorre usare più basilico, altrimenti, una volta pronto, risulterà amaro al palato. E nei dolci, bisogna aggiungere più zucchero e altri aromi». Produttori ed esperti sperano nel domani. «Abbiamo visto un lieve calo nel numero di parassiti in alcune produzioni nel Paese - conclude Luca Gorreri, autore di più volumi sulla raccolta dei pinoli - confidiamo che la situazione, in futuro, anche in termini di raccolta, possa migliorare. I danni, però, sono stati gravi. Ci vorrà tempo».

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