Recovery plan: quattro fattori da cui partire per il rilancio del Mezzogiorno

Recovery plan: quattro fattori da cui partire per il rilancio del Mezzogiorno
di Rita Annunziata
Sabato 5 Febbraio 2022, 18:56 - Ultimo agg. 6 Febbraio, 09:21
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Investimenti deboli e decrescita demografica. Ma anche storici problemi infrastrutturali e sistemici, che non consentirebbero un'adeguata connessione socio-produttiva del Sud col resto del Paese. E con l'Europa. Sono solo alcuni dei fattori che nelle parole di Mariano Bella, direttore dell'Ufficio studi Confcommercio, necessitano di essere messi a sistema per comprendere quanto potrebbe impattare sull'economia del Mezzogiorno la realizzazione dei progetti contenuti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Senza dimenticare il nodo del turismo che, secondo Bella, rappresenta a sua volta una risorsa da mettere a reddito.

«Per aggiustare le cose nel nostro Sud una strada importante è quella degli investimenti», avverte l'esperto, presentando l'indagine Il Pnrr per un nuovo Mezzogiorno (italiano ed europeo) della Confederazione generale italiana delle imprese, delle attività professionali e del lavoro autonomo. «Nel 2019 gli investimenti per occupato equivalente erano inferiori nel Sud ai livelli di 24 anni prima, mentre nel Centro-Nord erano superiori», aggiunge, evidenziando come questo abbia impattato anche sulla ricchezza prodotta nelle diverse regioni. Per abbattere gli strutturali gap territoriali, spiega Bella, è necessario dunque «potenziare gli investimenti nel Mezzogiorno» oltre che «fondamentale potenziare il suo mercato del lavoro, rendendolo più attrattivo, efficiente e dinamico».

Un altro aspetto da considerare, come anticipato in apertura, è quello della decrescita demografica.

Stando ai dati raccolti dall'ufficio studi, la popolazione italiana risulta in calo ormai da sette anni. Una contrazione legata principalmente al Mezzogiorno. «Mentre tra il 1995 e il 2019 la popolazione del Centro-Nord è passata da 36,2 a 36,5 milioni di unità, quella del Sud nello stesso periodo è scesa da 20,7 a 20,3 milioni», osserva Bella. Inoltre, guardando ai flussi interni, se fino agli anni Novanta l'emigrazione da Sud a Nord «allargava la base produttiva delle regioni italiane più ricche e produttive, oggi dal Nord stesso si emigra verso altri paesi». Di conseguenza, stando all'esperto, gli incentivi all'occupazione, le decontribuzioni e i regimi di favore rischiano di perdere progressivamente efficacia di fronte a un cluster di occupati potenziali che si riduce «per cause più profonde di demografia e di contesto sociale e produttivo».

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Le politiche di riequilibrio territoriale, secondo Bella, dovrebbero puntare inoltre su alcuni «difetti strutturali» della regione: controllo del territorio e contrasto alla micro-illegalità, digitalizzazione e innovazione nel rapporto burocratico tra cittadini e istituzioni, investimenti nell’istruzione e, infine, una riduzione dei «divari infrastrutturali di accessibilità», dai trasporti alla banda larga. «La crisi covid ha indebolito ulteriormente il Mezzogiorno in termini di occupazione, capitale produttivo e reddito», interviene Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio. «Con il Pnrr è possibile recuperare il terreno perduto attraverso quasi il doppio degli investimenti pubblici che, se indirizzati presto e bene, attireranno anche ingenti risorse private rafforzando la filiera turistica. Solo così potremo assicurare una crescita robusta non solo al Sud ma all’intero Paese».

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