Edilizia e infrastrutture, così l'impennata dei costi frena i progetti del Pnrr

Edilizia e infrastrutture, così l'impennata dei costi frena i progetti del Pnrr
di Nando Santonastaso
Sabato 20 Agosto 2022, 08:51
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Tre miliardi e 400 milioni per non far deragliare il Pnrr. Sono gli extracosti calcolati dalla sola Rete ferroviaria italiana per adeguare il prezzario delle 23 grandi opere in gara nel 2022 al rincaro dei prezzi delle materie prime e dell'energia che rischiava di mettere fuori gioco le imprese aggiudicatarie.

Le nuove risorse arriveranno dal Pnrr (altri 2 miliardi) e dal Decreto aiuti del governo Draghi ma non c'è dubbio, come rileva il Sole 24 Ore, che la tempestività dell'intervento ha permesso di scongiurare il blocco dei cantieri o delle progettazioni. E soprattutto di salvare il Pnrr che deve rendicontare a Bruxelles i vari step di spesa raggiunti ogni sei mesi. Non è stata una mossa indolore, peraltro: dalla programmazione della spesa 2022 sono scomparsi ad esempio due dei tre lotti della Salerno-Reggio Calabria ad Alta velocità, considerata l'infrastruttura più decisiva per ridurre lo storico gap dei collegamenti tra Sud e Nord e i cui tempi ora rischiano di allungarsi, come Il Mattino ha anticipato di recente. I due lotti sono slittati all'anno prossimo, l'ultimo entro il quale - in base agli accordi tra Italia e Ue si potranno affidare gli appalti, fermo restando il 2026 per la loro realizzazione. Non sono scadenze comode per il Mezzogiorno che, alla luce di quanto ha sottolineato la Svimez ad inizio agosto nelle Anticipazioni del Rapporto 2022, viaggia con 450 giorni di ritardo sulla media nazionale dei tempi occorrenti al completamento delle grandi opere pubbliche.

È vero che per i cantieri ferroviari e stradali il ricorso al commissariamento si sta rivelando sempre più positivo: secondo l'ultimo rilevamento del Mims, «sulle 102 opere commissariate nel 2021, molte delle quali ancora in fase progettuale, al 30 giugno scorso le macro-criticità segnalate dai Commissari straordinari sono risultate 37, rispetto alle 113 (-67,3%) segnalate alla fine dello scorso anno». Ma la possibilità di dover ipotizzare una sorta di tempi supplementari per non dover restituire i soldi a Bruxelles non è affatto remota, soprattutto al Sud. Tra l'altro, il Pnrr ha scelto di mettere a gara il progetto preliminare delle opere, il che vuol dire almeno un anno per fare il progetto definitivo, autorizzarlo e avviare i cantieri.

Insomma, l'allarme lanciato sin dalla scorsa primavera dall'Ance, l'Associazione dei costruttori (la filiera dell'edilizia è la più coinvolta nel Pnrr con un impegno valutato in 108 miliardi complessivamente) non è affatto cessato.

E non è un caso che su di esso si sia innestata, soprattutto da parte delle forze politiche di centrodestra, una spinta persino programmatica per riesaminare l'attuale impostazione del Pnrr. A maggio, spiegò l'Ance, tre aziende su quattro non erano in grado di sostenere i nuovi prezzi e rischiavano di dover rinunciare agli appalti vinti. Un dato forte ma credibile: nei mesi precedenti, di casi del genere si era peso quasi il conto. Qualche esempio? La gara Rfi di fine dicembre 2021 per la progettazione esecutiva e lavori di raddoppio della tratta Termoli-Ribalta (437,3 milioni, una sola offerta) era stata stimata da Ance il 15-20% sottocosto a causa dei rincari di tondo d'armatura, fondazioni speciali in cemento, acciaio per travi di ponte. Anche per la tratta Rfi Alcamo diramazione-Trapani, che l'Ance stimava sottocosto del 12% per un disallineamento su tondino per cemento armato e calcestruzzo, si è presentata una sola impresa. Impressionanti i numeri forniti dai costruttori: nella seconda metà dell'anno scorso il rialzo dei prezzi dei tondini di ferro è stato dell'80% su base annua, del 130% per l'acciaio utilizzato per costruire i ponti. Il governo è corso ai ripari stanziando nuove risorse per compensare i rincari e permettere alle imprese di continuare l'appalto, senza fermare il Pnrr. Difficile valutare se basteranno ma il problema rimane e in ogni caso era pressoché inevitabile che finisse al centro del dibattito politico.



Revisione o rivisitazione dell'impianto del Piano? E con quali rischi in chiave Ue e degli altri partners europei se si chiedesse una proroga fino al 2029? Sono le domande del giorno anche se va ricordato che la stessa normativa del Next generation Eu già prevede che una modifica ad un progetto del Piano può essere proposta solo se quest'ultimo non può più essere realizzato, in tutto o in parte in base a circostanze oggettive. Di sicuro, che l'Italia abbia finora rispettato tutte le scadenze, ottenendo le tranches di prestiti previste, è un ottimo segnale per Bruxelles e per la credibilità del nostro Paese. D'altro canto, non si può negare che i rincari delle materie prime e dell'energia e soprattutto le conseguenze economiche della guerra in Ucraina (non solo in termini di inflazione) sono esplosi successivamente all'approvazione del Pnrr.

E se si osserva la quantità delle opere, non solo infrastrutturali, previste nel Mezzogiorno attraverso il Pnrr, si comprende appieno la delicatezza della questione. Per restare a Rfi, sono stati banditi proprio in questi giorni i lavori della Matera-Ferrandina, in Basilicata, costo 311 milioni, che dovranno essere appaltati in pochi mesi. E lo stesso vale per la realizzazione del collegamento ferroviario ad alta velocità Taranto-Metaponto-Potenza-Battipaglia, messo in cantiere da Rfi con una dotazione di 434 milioni. E poi la realizzazione delle dighe in Sardegna, il completamento della Statale Jonica (il terzo megalotto è in pieno svolgimento), le opere previste a Taranto e quelle di collegamento tra la portualità campana e gli impianti interportuali, e così via: la mole degli appalti è notevole ma corposa è anche la preoccupazione dei sindaci di non riuscire a farcela, loro che tra carenze amministrative e prezzari da aggiornare, ostacoli burocratici e conflitti di ogni tipo, ad esempio con le soprintendenze, restano comunque in prima linea. E spesso senza nemmeno essere consultati.

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