Pomodori senza barattoli, ​in crisi il settore delle conserve

Pomodori senza barattoli, in crisi il settore delle conserve
di Nando Santonastaso
Sabato 5 Giugno 2021, 00:00 - Ultimo agg. 07:08
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Sembravano al riparo anche dai colpi di coda, per così dire, della pandemia, dopo avere superato con fatturati per lo più al rialzo la fase più dura dell’emergenza sanitaria. Il diavolo però ci ha messo lo zampino e ora si addensano nuvole scure anche sulle aziende delle conserve alimentari vegetali (4,7 miliardi di fatturato nel 2020 tra pomodoro e legumi, l’Italia terzo trasformatore al mondo dopo Usa e Cina, il Centro-Sud fiore all’occhiello per qualità e volumi). Non si trovano più le lattine in banda stagnata, i più familiari barattoli, che accolgono i due terzi del prodotto totale trasformato e consentono di trasportarlo ovunque. Sono lievitati in maniera abnorme i prezzi delle bobine d’acciaio, provenienti soprattutto dalla Cina, che poi vengono lavorate dalle imprese nazionali specializzate e modellate su lattine di ogni dimensione. Da 400 a mille dollari a bobina, si lamentano gli industriali, più del 30 per cento di rincaro. E come se non bastasse, «anche il costo per il trasporto di questo materiale è schizzato dai 1500-1600 dollari del 2020 ai 6mila dollari a container degli ultimi mesi», spiega Gaetano Torrente dell’omonimo gruppo di conserve alimentari campano nonché presidente da pochi giorni della Filiera alimentare dell’Unione industriali di Napoli.

Senza barattoli si corre il rischio di vedere marcire nelle campagne tonnellate di pomodori pronti per essere raccolti anche se soprattutto le aziende di maggiori dimensioni stanno cercando di correre ai ripari. «Di sicuro -dice Torrente – non ci sono piani alternativi capaci di compensare il mancato arrivo delle lattine necessarie. Noi ricorreremo anche al packaging di alluminio e al vetro per polpe e passate ma alla vigilia ormai dell’avvio della campagna di trasformazione non ci possono essere stravolgimenti organizzativi. Nel nostro caso siamo riusciti in tempo ad approvvigionarci della maggior parte dei contenitori in banda stagnata potendo disporre anche di magazzini di nostra proprietà».

Ma non tutti, evidentemente, possono dire lo stesso: fioccano, a quanto pare, gli ordinativi annullati di barattoli e i tempi di consegna dei produttori europei registrano ritardi di 4-5 settimane per le consegne oltre che prezzi superiori alle medie. Lo scenario che si profila, inoltre, non promette nulla di buono anche per i consumatori finali: i costi maggiorati a monte potrebbero provocare aumenti a valle sulle confezioni al dettaglio, con prezzi lievitati anche dell’11% su quelle di maggior volume. «Noi conservieri siamo esattamente al centro tra i fornitori delle materie prime come la banda stagnata da una parte, e i consumatori dall’altra: siamo convinti che dovremo accollarci la maggior parte di questi nuovi oneri ma mantenere i prezzi il più stabile possibile non sarà semplice», dice con molto realismo Torrente.

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La Cina che ha chiuso l’export per destinare l’acciaio soprattutto ai suoi consumi interni, la guerra delle materie prime che è esplosa in tutto il globo coinvolgendo anche altri semilavorati di acciaio, e il costo del nolo dei container sono peraltro solo alcuni dei problemi del settore. Pesano infatti sulle aziende trasformatrici anche l’aumento del costo del metano, raddoppiato sui contratti di fornitura stagionale (ovviamente per i mesi estivi della trasformazione) e le nuove incognite relative all’assunzione degli stagionali. «Facciamo fatica a reperire personale specializzato, come del resto accade in tutta la filiera agroalimentare. Non abbiamo avuto casi diretti di rinuncia per effetti del Reddito di cittadinanza ma già lo scorso anno i dubbi c’erano», dice Torrente. Per avere un’idea di quanti dipendenti occorrano durante i tre mesi circa dell’attività di trasformazione dei pomodori, non si scende sotto le 300 unità (negli altri mesi dell’anno ne bastano una cinquantina per un’azienda come “La Torrente” che ha fatturato 20 milioni di euro lo scorso anno). Anicav, la maggiore Associazione di categoria che ha sede a Napoli dove fu fondata nel 1945 (oltre 100 aziende associate, rappresenta il 70% del fatturato totale del settore) è preoccupata: «La programmazione delle produzioni di barattoli viene normalmente fatta con congruo anticipo rispetto all’avvio della campagna di trasformazione, sia per gli scatolifici che forniscono le nostre aziende sia per quelle produzioni realizzate dagli stessi conservieri, in quanto i derivati del pomodoro - a differenza di altre referenze, come i legumi -necessitano di essere inscatolati immediatamente, all’atto della trasformazione», si spiega. «Esistono, tuttavia, delle realtà aziendali con parametri di programmazione, per così dire, più flessibili che, in una situazione come quella che stiamo vivendo, potrebbero avere maggiori difficoltà. Unica certezza, intanto, è l’importante aumento del costo dell’acciaio che dall’inizio dell’anno ha subito un trend di crescita senza precedenti, che farà lievitare, a sua volta, il prezzo d’acquisto delle scatole che, sommato agli ulteriori rincari, in particolare degli altri imballaggi (etichette, cartoni, plastica) e dell’energia, andrà a gravare in modo significativo sul costo dei prodotti finiti».

E produrre più barattoli in Italia o in Europa, creando un’alternativa alla Cina? Complicato, molto complicato. «Ci vogliono due anni per potenziare le linee degli stabilimenti», ha spiegato a Repubblica Natasha Linhart, Ceo di Atlante, grossa azienda di Bologna. Difficile darle torto se si considera che bisognerebbe investire subito sulle realtà siderurgiche più affini, come l’ex llva di Genova-Cornigliano dove si potrebbe incrementare l’attuale produzione di banda stagnata: il fatto è che per ora siamo a 100mila tonnellate prodotte ma il fabbisogno nazionale è di 800mila. 

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