Non era mai accaduto che le rappresentanze regionali del Mezzogiorno di Confindustria indicassero all’unisono una rotta (è il caso di dirlo) per lo sviluppo dell’area. L’economia del mare riesce a metterle d’accordo tutte e otto nel nome di idee condivise ancorché inevitabili, considerata la collocazione geografica: e cioè, la connessione delle otto Zes tra loro e l’integrazione dei porti meridionali con quelli del Centro-Nord in un progetto di sistema che entra a pieno titolo nel Piano strategico nazionale di Confindustria già presentato al governo Draghi. Per la prima volta, insomma, la ricchezza fin troppo sottovalutata del mare diventa un programma di lavoro, definito non a caso “Costruire il Mediterraneo”, che per ora vede le imprese in perfetta sintonia in attesa che lo stesso facciano le Regioni, terminali decisivi per il futuro di qualsiasi progetto di sviluppo dei territori. Qui, forse, c’è il vero punto di domanda considerate le storiche difficoltà di superare campanilismi e “prerogative”, reali o presunte, delle singole amministrazioni. Ma la linea tracciata da Confindustria sembra solida e, come detto, sostenuta dall’intero sistema visto che l’economia del mare è uno dei tre grandi asset di rilancio del Paese posti al governo da viale dell’Astronomia in vista del Pnrr (gli altri, per la cronaca, sono l’education e l’economia circolare).
Naturalmente scenari di questa portata non possono esaurirsi nei soli 5 anni del Recovery Plan ma la sensazione è che avendo ammesso la strategicità di questa opzione sarà inevitabile prevedere anche dopo il 2026 misure e investimenti adeguati.
È la riprova di un’occasione finora non sfruttata ma che, ricorda Confindustria, diventa fondamentale «per un progetto unitario di ripresa del Paese» visto che se non riparte il Sud sarà difficile rimettere in moto le altre aree. Il Pnrr, come emerso dalle anticipazioni della ministra per il Sud, Carfagna, destinerà 600 milioni alla realizzazione delle infrastrutture più urgenti delle aree Zes, tra reti viarie e ferroviarie. Ma il salto di qualità sembra legato soprattutto al ruolo dei commissari (e non sono ancora stati nominati tutti) per dimostrare con i fatti che la semplificazione attraverso un’unica procedura autorizzativa per chi vuole investire nelle Zes è finalmente possibile. Il resto dipenderà dalla capacità di integrare i porti del Sud con quelli del Nord, e segnatamente con Trieste e Genova, che continuano ad essere i poli marittimi nazionali di riferimento. «Il sistema portuale italiano – dice Natale Mazzuca, vicepresidente di Confindustria con delega all’Economia del mare – è ancora privo di una politica unitaria. Resta ancorato a logiche localistiche che bisogna superare: la portualità dev’essere l’asset per generare efficienza e forza competitiva». Gli fa eco Francesco Tavassi, vicepresidente dell’Unione industriali di Napoli, anche lui con delega all’Economia del mare, che parteciperà oggi ad un webinar sulle Zes organizzato dall’Associazione Merita con l’intervento della ministra Carfagna: «Il governo si sta muovendo bene ma ora serve una prova di responsabilità delle Regioni», dice. E spiega: «È vero che tra le grandi opere portuali sbloccate dal ministero delle Infrastrutture una sola riguarda per ora il Sud, in particolare lo scalo di Palermo. Ma è anche vero che il criterio di base era che fossero opere già finanziate e deliberate. Occorre insomma un drastico sforzo delle regioni per rendere adeguati i propri progetti».