Recovery, il manifesto degli economisti: «Dieci mosse per rilanciare il Sud»

Recovery, il manifesto degli economisti: «Dieci mosse per rilanciare il Sud»
di Nando Santonastaso
Martedì 9 Marzo 2021, 00:00 - Ultimo agg. 12:13
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Sono i dettagli che fanno la differenza. Lo ha imparato a sue spese il Mezzogiorno, oggetto tante, troppe volte di misure o norme apparentemente ineccepibili (o quasi) che in realtà sono diventate tutt’altro, finendo per trasformarsi in vere proprie beffe, dai Lep alla spesa storica, dai fondi per le università alla dotazione degli asili nido. «Non basta dire che il 34% o più di risorse verranno assegnate al Sud con le risorse del Next generation Eu, ad esempio per realizzare nuovi asili nido: occorre sapere sin da adesso quanti bambini di Napoli o di Bari si ritiene che nel 2026 debbano usufruire di questa opportunità», dice con la consueta concretezza Gianfranco Viesti, economista e studioso, spesso scomodo, delle dinamiche meridionali. In queste parole c’è gran parte del senso di un documento che partendo da un presupposto oggettivamente giusto, e cioè «Ricostruire l’Italia con il Sud», propone dieci punti per il rilancio di quest’area attraverso il Piano di Rilancio e resilienza, sulla cui ultime versione si esprime un giudizio piuttosto critico. La chiave è semplice quanto, ahinoi, ancora in gran parte inedita: mettere nero su bianco progetti e risultati attesi per evitare, appunto, la beffa dei dettagli nascosti da annunci e misure suggestivi.

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Viesti è uno dei 25 (per ora) firmatari del documento. Con lui figurano tra gli altri ex ministri come Carlo Trigilia, economisti come Luca Bianchi (che aderisce a titolo personale e non come direttore generale della Svimez), intellettuali del valore di Isaia Sales, meridionalisti del fare come Carlo Borgomeo di Fondazione con il Sud e il maestro Manlio Rossi-Doria, editori come Alessandro Laterza e Carmine Donzelli e molti docenti di atenei non solo meridionali (per la Federico II hanno aderito Paola De Vivo, Luciano Brancaccio, Enrica Morlicchio). 
Il loro ragionamento supera la pure riconosciuta centralità del “quantum” di risorse da assegnare al Mezzogiorno. E disegna una “road map”, a beneficio del governo e del Parlamento, in cui la priorità è «rendere esplicito il ruolo del Sud nelle principali missioni del Next generation Eu», proponendo «un chiaro indirizzo politico verso la produzione di beni pubblici per la coesione e la competitività dell’intero Paese».

Ovvero, «verso la riduzione dei divari civili a partire da scuola, sanità e assistenza sociale anche attraverso un concreto riconoscimento del ruolo del Terzo settore, e delle disparità nelle dotazioni infrastrutturali, materiali e immateriali». Ma siccome tutto questo rischia di essere solo un approccio tanto condivisibile quanto generico per il Mezzogiorno, ecco che il documento spiega come evitare false speranze. Servono la «puntuale localizzazione degli interventi» con i relativi obiettivi territoriali di spesa; e la definizione «a livello territoriale, in tutte le missioni e in tutte le linee di progetto, dei risultati attesi per i cittadini e le imprese». In altre parole, si sollecita un metodo di lavoro attraverso il Pnrr da cui scaturisca «l’allocazione al Sud di una quota delle risorse complessive del Piano significativamente superiore al suo peso in termini di popolazione». E questo – ecco un’altra sostanziale novità nel dibattito sui fondi da destinare al Sud – «al netto del Fondo Sviluppo e Coesione e del React Eu» (circa 8 miliardi al Sud per la coesione), nonché «dei progetti già in essere».  

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Cosa vuol dire? Che al Sud, secondo i promotori del documento, devono essere spese risorse solo per interventi nuovi e con soldi unicamente europei. «Non ha più senso, in altre parole, inserire ancora la Napoli-Bari tra i progetti del Next generation Eu visto che l’opera è già in corso», spiega Viesti. E aggiunge: «Solo con progetti ex novo, coerenti con il programma delle risorse stanziate dall’Europa, si potrà verificare la loro completa attuazione entro il 2026 anche al Sud». Per farlo, si ribadiscono almeno due urgenze: un piano straordinario di rafforzamento delle pubbliche amministrazioni, «soprattutto comunali», e una governance «aperta al contributo delle forze economico-sociali» capace di monitorare l’andamento dei progetti. Perché «la semplice allocazione di risorse non garantirebbe il cambiamento del Sud e del Paese», come ormai sappiamo bene. 

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