Recovery plan, al Sud 240 miliardi in 10 anni: occasione da non sprecare

Recovery plan, al Sud 240 miliardi in 10 anni: occasione da non sprecare
di Marco Esposito
Giovedì 29 Aprile 2021, 12:00 - Ultimo agg. 30 Aprile, 07:22
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Il Sud non si fida. Scottato da troppe delusioni annusa odore di bruciato dietro ogni promessa, ogni impegno per quanto solenne. Anzi forse proprio perché solenne. Ma c'è anche una novità: di Mezzogiorno si parla e ci si appassiona come mai da molti decenni e lo stesso Mario Draghi martedì ha dedicato larga parte della sua replica al Senato proprio a puntualizzare sul Sud, con cifre, fatti e qualche svarione.

E allora proviamo a vederle, le cifre, senza pregiudizi. Partendo dall'affermazione chiave di tutto il ragionamento del presidente del Consiglio: «Le risorse saranno sempre poche, se uno non le usa». Con il corollario delle «storiche difficoltà del Sud di assorbimento dei fondi pubblici». In realtà il Sud i soldi li ha sempre spesi tutti, senza restituire un euro, ma quasi mai per i progetti originari e troppo spesso per sostituire la spesa ordinaria.

I Conti pubblici territoriali, un sistema statistico nato proprio per seguire territorio per territorio la spesa pubblica, fotografano gli investimenti ordinari e straordinari dal 2007. Non era un anno qualsiasi. Dava inizio, proprio come il 2021, a un ciclo di fondi europei e il 12 gennaio il premier Romano Prodi riunì in trasferta il Consiglio dei ministri a Caserta per dare un segnale forte al Sud, approvando nella Reggia un piano di investimenti straordinari da 123 miliardi, di cui 100 al Mezzogiorno. Oggi sappiamo che a fine 2015 gli investimenti straordinari furono in effetti di 123 miliardi, di cui però al Sud 90, dieci in meno. Ma l'aspetto grave è un altro: gli investimenti ordinari nello stesso periodo al Sud sono stati appena il 21%, molti meno della popolazione che peraltro in quel periodo era oltre il 34%.

I dati più aggiornati non hanno cambiato il quadro: nell'intero periodo 2007-2019 il Sud ha ricevuto tra fondi ordinari e straordinari il 34% esatto degli investimenti della Pubblica amministrazione, quindi neppure un euro aggiuntivo rispetto alla quota della popolazione. Insomma c'è un problema di risorse scarse, il che però non cancella il tema della qualità della spesa, come si dirà.

Adesso però il cambio di passo è possibile. Le crisi del 2009, del 2012 e, si spera, il peggio di quella della pandemia, sono alle spalle e c'è il famoso Recovery Plan che si aggiunge a tutti gli altri interventi, con la novità di un indebitamento comune europeo. Inoltre quota 34% - cioè la percentuale minima degli investimenti ordinari al Sud - sembra finalmente diventata operativa. Draghi ha ribadito l'impegno di spendere al Sud 82 miliardi su 206 tra Pnrr e Fondo complementare, cioè il 40%. In realtà le due voci pesano 222 miliardi, perché 16 miliardi non sono stati territorializzati (avranno impatto più o meno in proporzione al Pil delle aree). In ogni caso il 40% resta valido se si considerano, come corretto, anche React Eu e Fondo per la transizione giusta, che vanno prevalentemente al Mezzogiorno.

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Draghi ha ricordato che in campo c'è molto altro. Intanto ci sono i 24 miliardi della coda dei fondi europei 2014-2020, spendibili fino al 2023. Poi ci sono i fondi europei del nuovo ciclo 2021-27 che valgono in tutto 82 miliardi tra contributi europei e cofinanziamento nazionale, dei quali 54,2 al Mezzogiorno. Inoltre c'è il Fondo sviluppo e coesione che al momento conta 50 miliardi entro il 2030, ma che con la prossima legge di bilancio crescerà di 23 miliardi. Al Sud spetta per legge l'80% per cui ci saranno 58 miliardi. Infine, ad affiancare il Pnrr che domani sarà consegnato all'Europa, c'è il Fondo complementare, che sarà rafforzato dopo il 2026 con 9,4 miliardi destinati a realizzare finalmente la linea ferroviaria veloce Salerno-Reggio Calabria, entro il 2032. A quarant'anni esatti dall'inaugurazione dell'alta velocità Madrid-Siviglia. 

Tirando le somme, per i prossimi 10-11 anni ci sarà un flusso di risorse per il Mezzogiorno di 240 miliardi di euro straordinari, cioè extra rispetto agli investimenti ordinari. Un valore oggettivamente senza precedenti - il triplo di quanto ottenuto negli undici anni dal 2009 al 2019. Soprattutto se nel frattempo la quota ordinaria rispetterà il 34%.

Tutto bene, quindi? Non proprio. Infatti anche quando un'iniziativa appare blindata in favore delle aree deboli, la sua concreta attuazione può andare in direzione opposta. Non si tratta di fare processi alle intenzioni ma di guardare quanto sta accadendo nel primo bando del Next Generation Eu, di cui ieri ha parlato Draghi. L'informativa ricevuta dal premier lo ha portato fuori strada. Non è vero infatti che il 60% dei 700 milioni è riservato alle aree svantaggiate (il vincolo vale solo su 560 milioni). Non è vero che i comuni ricchi del Nord devono presentare progetti per le periferie né si può dire che Aosta o Verbania sia grandi città con quartieri degradati. Il premier ha assicurato che «per i prossimi bandi sarà evidentemente necessario correggere gli eventuali elementi di debolezza che riscontreremo con questo bando» ma è triste e anche un po' paradossale che il primo bando del Recovery Plan, proprio sugli asili nido, debutti con meccanismi che necessitano - eventualmente ma anche evidentemente - di correzioni. 

I soldi stavolta ci sono davvero, insomma, anche se bisognerà tenere gli occhi aperti e fare in modo che il 40% di quota Sud del pacchetto Recovery sia rispettato in tutti i bandi. Tuttavia non si può eludere il nodo della mediocre capacità di spesa delle amministrazioni meridionali. È vero che in tanti anni non si è mai restituito un euro, ma forse il problema è proprio qui. Non solo la sanzione è blanda, ma addirittura il ritardo nella spesa si traduce in una sorta di premio per gli amministratori, che nelle fasi conclusive di ciascun ciclo europeo vengono di fatto autorizzati a spendere liberamente pur di certificare tutte le somme necessarie.

È capitato spesso. Per completare in tempo la spesa del ciclo 2007-2013, nel 2015 la Campania rilanciò un prestito di piccolo importo (anche 5.000 euro) a interesse zero, senza reale impegno alla restituzione. Nel 2020, sempre la Regione Campania, ha utilizzato fondi europei non spesi per un bonus ai pensionati legato alla pandemia, girando risorse all'unica categoria sociale che non aveva avuto perdita di reddito per il coronavirus. In entrambi i casi, la rapidità di spesa e la possibilità di raggiungere un'ampia platea di beneficiari ha fatto premio sulla fatica di dover realizzare qualcosa di duraturo. E, in entrambi i casi, non c'è stata trasparenza nel comunicare all'opinione pubblica quali progetti dei programmi originari fossero stati rimodulati. Ecco, di cose che mancano al Sud ve ne sono moltissime, dagli asili nido agli hospice per i malati terminali, fino al collegamento stabile tra Continente e Sicilia. Ma poco sarà portato a termine se l'amministratore che non realizza un progetto avrà in premio la possibilità di spendere i medesimi soldi senza vincoli.

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