Recovery plan e asili nido, ecco i parametri che penalizzano ancora il Mezzogiorno

Recovery plan e asili nido, ecco i parametri che penalizzano ancora il Mezzogiorno
di Marco Esposito
Mercoledì 5 Gennaio 2022, 20:00 - Ultimo agg. 23:34
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Ancora non sono nati e già si è deciso che quei bambini per trovare l'asilo nido dovranno emigrare dal Sud al Nord Italia. L'ultimo tradimento dei principi di buon senso e dei valori costituzionali sa ancora più di beffa perché matura in un bando - lanciato per costruire gli asili nido dove mancano - corretto il 2 dicembre proprio per evitare le storture del primo bando Pnrr, quello che in agosto ha assegnato soldi a Milano e non a Venafro in base all'incredibile motivazione che Milano è più ricca e può cofinanziare il progetto. Cancellate quelle storture, si è deciso finalmente di considerare i bambini tutti uguali ma - attenzione - non i bambini che ci sono adesso ma quelli che si stima ci saranno... nel 2035. Il piccolo che si iscriverà al nido nel 2035 probabilmente sarà nato nel 2034 e i suoi genitori oggi non si sono neppure incontrati. Ma l'Istat ha fatto una previsione di popolazione, immaginando che le tendenze attuali (scarsa natalità, migrazioni da Sud verso Nord a causa degli scarsi servizi del Mezzogiorno) proseguiranno. Quelle stime, inevitabilmente, disegnano un futuro per il Sud simile a quello del decennio passato e cioè di spopolamento, come del resto denuncia da anni la Svimez. Ma invece di usare le statistiche come sprone per invertire la rotta, portare sviluppo dove manca, favorire la natalità e l'occupazione femminile (e cosa meglio degli asili nido?) nel bando del ministero dell'Istruzione, come raccontato ieri da Gianfranco Viesti sulle colonne di questo giornale, si considera che al Sud continuerà ad andare tutto male, per cui invece di costruire gli asili nido necessari in base alla situazione attuale, con 450mila bambini meridionali su 1.271.000, si passa a 399mila su 1.261.000. In pratica si fanno sparire 50mila bambini meridionali che ricompaiono miracolosamente nelle regioni del Nord, soprattutto in Lombardia e Veneto, perché i loro genitori se le cose non cambieranno sono predestinati a partire. E nel 2035 troveranno un bel nido costruito al Nord con i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. 

A nulla valgono le parole dell'Istat, che nel suo report del 26 novembre 2021 avvertiva: «Le previsioni demografiche sono, per costruzione, tanto più incerte quanto più ci si allontana dall'anno base.

L'evoluzione della popolazione totale rispecchia tale principio già dopo pochi anni di previsione». Per il ministro Patrizio Bianchi quell'incertezza svanisce e allora, se c'è da costruire nidi, invece di considerare le persone reali (oppure, al limite, la stima al 2026, anno di chiusura del Pnrr) si proietta come nella saga Back to the future fino al 2035. 

Il ministero dell'Istruzione potrebbe replicare che soltanto il 25% dei 2,4 miliardi disponibili sono suddivisi tra le regioni in base alla popolazione che verrà, mentre la gran parte, il 75%, è assegnato per coprire il gap di servizio e quindi di più al Sud. Sul sito del ministero in effetti si legge: «Il fine è raggiungere l'obiettivo europeo del 33% relativo ai servizi per la prima infanzia, colmando il divario oggi esistente». Bene. Le regioni che sono sotto il 33% sono quattordici su venti, quindi non solo le otto del Sud. Per portare tutti al 33% servirebbero 91.391 posti di cui l'89,6% nel Mezzogiorno. Cosa fa il ministero nel bando? Dimentica quanto ha scritto - e cioè il 33% - e alza l'asticella al più alto livello regionale ovvero il 43,9% della Valle d'Aosta. In questo modo le regioni da aiutare diventano diciannove (tutte tranne la più piccola) e i posti necessari salgono da 91mila a 214mila. Ottimo si dirà, così ci saranno più asili nido per tutti. Il problema è che secondo le stime dell'Ufficio valutazione impatto del Senato costruire nuovi asili nido costa 16mila euro per bambino per cui per raggiungere davvero l'obiettivo valdostano servirebbero 3,4 miliardi di euro mentre nel Pnrr ce ne sono per tale voce 1,8 miliardi. In pratica si assegnano soldi all'Emilia Romagna per consentirle di salire dal 40,1% attuale verso il 43,9% togliendoli a chi è sotto il 33%. La Campania con il 10,4% di copertura è più indietro di tutti e otterrà, grazie ai conteggi futuristici del ministero di Bianchi, 328 milioni di euro; mentre se si fosse tenuto conto dei bimbi veri e si fosse rispettato l'obiettivo di ridurre il gap per le quattordici regioni sotto il 33%, avrebbe ricevuto oltre il doppio: 686 milioni. Il Mezzogiorno nel suo insieme scende da 1.825 milioni, calcolati in base alla Costituzione, a 1.327 milioni del bando. In pratica la quota Sud (dove vive l'89% dei bimbi senza nido) è stata tagliata dall'equo 76% ad appena il 55%. 

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Il 33% di posti nei nidi, del resto, dal primo gennaio 2022 non è più un mero «obiettivo europeo» ma una legge dello Stato con valenza costituzionale. Grazie alla caparbietà di Mara Carfagna, infatti, il 33% è stato finalmente definito Lep, cioè livello essenziale delle prestazioni. Vale a dire - come si legge all'articolo 117 della Carta costituzionale - che il 33% è parte dei «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Su tutto il territorio nazionale così com'è oggi. Non come potrebbe diventare nel 2035 se continueranno i giochetti sulla pelle dei bambini.

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