Sale, sgambetto Ue all'Italia: Bruxelles vuole imporre la varietà bio (che danneggia la produzione nazionale)

Sale, sgambetto Ue all'Italia: Bruxelles vuole imporre la varietà bio (che danneggia la produzione nazionale)
Sale, sgambetto Ue all'Italia: Bruxelles vuole imporre la varietà bio (che danneggia la produzione nazionale)
di Carlo Ottaviano
Sabato 4 Giugno 2022, 21:34 - Ultimo agg. 6 Giugno, 09:09
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SOS sale: zitti zitti a Bruxelles c’è chi lavora per imporre che tutto il sale alimentare in uso in Europa sia bio. L’Italia ne uscirebbe penalizzata perché la sua produzione di sale potrebbe non rispondere ad alcune prescrizioni. Finendo per penalizzare perfino uno dei prodotti più puri esistenti al mondo, quello proveniente dalle miniere di salgemma siciliane di Racalmuto e Realmonte, dove il confezionamento avviene nelle stesse viscere delle grotte. In pratica, il sale è lì da 5-6 milioni di anni e vede per la prima volta la luce solo all’apertura della confezione da parte del consumatore. Purtroppo – ecco uno dei problemi – questa particolare eccellenza non dipende dal ministero dell’Agricoltura ma dal dicastero allo Sviluppo economico (perché enormi quantitativi sono usati come antighiaccio o come ingredienti nei prodotti per la pulizia). Solo l’integrale primario di Trapani è tutelato dall’indicazione Igp che manca, invece, al dolce e bianco di Cervia. Nelle diverse zone marine e aree interne italiane c’è una potenzialità produttiva da 6 milioni di tonnellate all’anno, ferma però a 2,3 l’anno: 1 milione per uso antighiaccio; circa 1 milione per uso industriale-chimico; meno di 250 mila tonnellate per uso medicale, farmaceutico, sanitario e alimentare. 

I dati

In Italia, l’uso per alimenti e il consumo diretto non superano le 60 mila tonnellate per un valore di 12 milioni di euro. Circa il 45% arriva dall’estero senza una chiara origine. Clamoroso il caso di alcuni Sali: a fronte delle vere chicche selezionate e acquistate dai grandi chef, in molte (presunte) boutique del cibo si trovano prodotti esteri colorati (spesso anche artificialmente) a scaglie grosse irregolari. Tra i più noti, il rosa dell’Himalaya, il nero del Pacifico, quello delle grotte di Cina e Persia (dove nidificano ancora i pipistrelli e quindi le condizioni igienico-sanitarie lasciano a desiderare). Questi prodotti vengono venduti in Italia fra i 12 e i 37 euro al chilo, senza una chiara motivazione del range. Cifre scandaloso, se paragonate all’economico e ottimo made in Italy. «Il costo di produzione di un chilo di sale alimentare italiano – calcola Gianpietro Comolli, presidente dell’Osservatorio e del centro studi sul sale alimentare italiano - dipende da luogo e tempi, trasporti e purezza.

Il sale grezzo costa intorno a 50 euro/tonnellata. Lo stesso sale venduto all’ingrosso dopo alcune lavorazioni vale 150 euro/tonnellata, ovvero 0,15 euro al chilo. E’ sale bianco, puro, sano, senza conservanti, addensanti, additivi». Il tema del sale bio è adesso in discussione ai tavoli del Grex (Expert Group On Organic Production) che fa capo alla Commissione Europea. «C’è davvero bisogno di una norma sul sale bio?», chiede perplesso Comolli. Che spiega: «Il sale alimentare è ottenuto solo da due processi: la essicazione dell’acqua del mare in aree particolarmente ricche di iodio e sodio con correnti calde e fredde, oppure la escavazione mineraria sottoterra del salgemma, il sale di antico deposito nella roccia. Ebbene il primo è considerato per legge una produzione agricola, la seconda una produzione industriale. Entrambi però hanno la stessa matrice: l’acqua salmastra giovane o vecchia del mare attuale o di un mare antico. Perché allora considerali due prodotti diversi facenti capo a leggi differenti?».

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La Ue

Le ipotesi in discussione a Bruxelles rischiano di escludere buona parte della produzione italiana. «E’ utile – afferma Comolli - che il sale alimentare venga certificato, prescindendo dalla specifica bio, con un disciplinare di produzione riconosciuto dalla Ue, con un regolamento che garantisca la biologia e la naturalità indipendentemente dal luogo e tempo di origine, cioè marino o di miniera». Un regolamento unico manca anche in Italia e – come spesso accade - tra le pieghe delle nostre mancanze si insinuano i tentativi europei.

 

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