Minacciato lo sciopero della pasta, governo e consumatori avviano un confronto per fermare i rincari

Esposto all'Autorità per la concorrenza: "Il prezzo è aumentato il doppio dell'inflazione"

Nei supermercati italiani è sempre più cara la pasta
Nei supermercati italiani è sempre più cara la pasta
di Giampiero Valenza
Giovedì 11 Maggio 2023, 17:04 - Ultimo agg. 12 Maggio, 15:09
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La pasta costa sempre di più e (anche se difficile da immaginare per molti appassionati degli spaghetti), c'è chi minaccia lo sciopero dell'amatriciana. Le associazioni di consumatori non ci stanno al rincaro della carbonara, del cacio e pepe o dei tortellini. Così, il Codacons chiede che dopo Mister Prezzi e la Commissione di allerta rapida, anche Antitrust e il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste “dovranno indagare sul fenomeno del caro-pasta, dove i ricarichi dei prezzi dal campo alla tavola superano quota +570%”.

L'associazione dei consumatori ha infatti inviato un esposto all’Autorità per la concorrenza e all’Icqrf (Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari, istituito presso il Masaf) chiedendo di indagare sulle anomalie che si registrano in Italia sul fronte dei listini al dettaglio della pasta.

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L'esposto

“Il grano duro per la pasta viene pagato in Italia circa 36 centesimi al chilo a un valore che non copre i costi di produzione ed è inferiore di oltre il 30% rispetto allo stesso periodo scorso anno, mentre il prezzo della pasta è aumentato il doppio dell’inflazione – scrive il Codacons nell’esposto - Una distorsione che appare chiara anche dall’andamento dei prezzi medi al consumo che secondo l’Osservatorio del Ministero del Made in Italy variano per la pasta da 2,3 euro al chilo di Milano ai 2,2 euro al chilo di Roma, dai 1,85 di Napoli ai 1,49 euro al chilo di Palermo, mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisola”.

La proposta degli "osservatori"

Oggi una riunione della Commissione di allerta rapida sui prezzi del Mimit (Il ministero delle Imprese e del Made in Italy) farà il punto sul tema. E Assoutenti ha presentato un dossier nel quale ha evidenziato “gravi storture sul fronte dei listini al dettaglio”. Il documento elaborato dall’associazione dimostra, ad esempio, la totale asimmetria tra l’andamento dei beni energetici e quello dei beni alimentari, prodotti che continuano a registrare rincari record a danno di milioni di famiglie. «Ci attendiamo a breve una discesa forte dei prezzi della pasta, se no ci penseranno i consumatori, lasciandola sugli scaffali. Seguiremo la legge della domanda dell'offerta e non compreremo pasta per 15 giorni». A ipotizzare lo sciopero della pasta è il presidente di Assoutenti, Furio Truzzi. “Vogliamo una rete di osservatori locali - è la richiesta di Truzzi - per capire esattamente quali sono i territori e i prodotti più cari è un paniere di beni di prima necessità che non superi il tasso di inflazione programmata del 5,9%”.

Il rincaro della pasta, secondo Confagricoltura, ha toccato il 17% in questo solo anno. Matteo Lasagna, il vicepresidente dell'associazione, sottolinea come sia necessario “promuovere una riflessione comune finalizzata a combattere il clima di sfiducia che rischia di diffondersi all’interno e tra i singoli attori della filiera, imprese agricole comprese, e a riconoscere un giusto prezzo della materia prima per dare valore a tutte le parti della filiera. La riunione di oggi è sicuramente un primo grande passo verso questa direzione”.  “Riteniamo che avere un sistema di controllo sulle filiere legate ai prezzi che sono poi offerti ai consumatori attraverso la distribuzione sia qualcosa che vada attenzionato e sostenuto perché più è trasparente la filiera più avremo anche legalità all'interno”, ha invece commentato il presidente nazionale di Coldiretti, Ettore Prandini.

Si cerca comunque la qualità del prodotto

Intanto, proprio le catene di grande distribuzione organizzata stanno rispondendo a questa diversa domanda modificata anche dal prezzo. Pasquale Nicastro è il direttore acquisti di Penny Italia, uno dei marchi dei supermercati italiani. "Abbiamo avuto una crescita delle richieste dei prodotti a marchio della nostra catena, e un aumento di circa il 20% dei prodotti a marchio di qualità premium, con origine certificata", spiega. "I consumatori italiani cercano di risparmiare, ma c'è anche chi ha attenzione al prezzo e, allo stesso tempo, vuole un prodotto di qualità superiore.

Questo sta spingendo a sviluppare due catene diverse di prodotti".

Il vicepresidente di Confagricolutra: "Auspichiamo dialogo costruttivo"

“Promuovere una riflessione comune finalizzata a combattere il clima di sfiducia che rischia di diffondersi all’interno e tra i singoli attori della filiera, imprese agricole comprese, e a riconoscere un giusto prezzo della materia prima per dare valore a tutte le parti della filiera. La riunione di oggi è sicuramente un primo grande passo verso questa direzione”.  Lo ha affermato il vicepresidente di Confagricoltura, Matteo Lasagna, intervenuto alla Commissione di allerta rapida convocata al MIMIT questo pomeriggio dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo, per un’analisi sui rincari della pasta, aumentata di circa il 17% rispetto all’anno scorso, in un contesto caratterizzato dalla riduzione del prezzo del grano duro e dalle dinamiche variabili dei costi dell’energia e degli altri fattori della produzione. 
 
“La recente evoluzione delle quotazioni di mercato a livello nazionale sta preoccupando non poco gli agricoltori, che - ha precisato Lasagna - nonostante le recenti inversioni di tendenza, stanno ancora patendo il forte aumento dei costi di produzione affrontato nell’ultimo anno. Per il grano duro, nelle ultime settimane i prezzi all’origine si sono contratti notevolmente, con riduzioni che hanno raggiunto il 10% su base settimanale”. 
 
La questione della tenuta del prezzo pone un serio problema di approvvigionamento. Confagricoltura rimarca che, mentre negli ultimi anni si era assistito a un miglioramento del tasso di autoapprovvigionamento per il grano duro, la minore remunerazione della materia prima potrebbe indurre a una contrazione delle semine e della produzione nazionale che, a sua volta, potrebbe concludersi in un maggiore ricorso alle importazioni. L’Italia, - ricorda la Confederazione – è il primo produttore mondiale di pasta, ma è ancora fortemente dipendente dall’import di materie prime. 

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Il prezzo della pasta alla produzione è cresciuto in un anno del +8,4% (dati ufficiali ISTAT, marzo 2023 su marzo 2022), ovvero al pari dell’indice di inflazione medio registrato dai beni al consumo. L’incremento per il consumatore – che dipende da dinamiche esterne al mondo della produzione della pasta - si attesta invece su una percentuale del +16,5% (e non del 17,5% o di altre cifre enunciate erroneamente in questi giorni) quando la media del totale dei prodotti alimentari è del +15% (dati ufficiali ISTAT, aprile 2023 su aprile 2022). Parliamo quindi di un rincaro sul prezzo della pasta che si attesta di un punto e mezzo percentuale in più rispetto agli altri prodotti alimentari.

“I pastai italiani sono sempre dalla parte dei consumatori. Vorremmo che si uscisse da questa giornata con il riconoscimento che la pasta è la soluzione, non il problema. Lavoriamo tutti nella direzione di tutelare sempre al meglio i consumatori ma, seppur i costi rimanessero quelli attuali, non possiamo dimenticare che l’aggravio di spesa per persona all’anno sarebbe di circa 10 euro, ovvero il 16,5% in più su un prodotto che costa in media circa 1,07 euro al pacco (dato Istat). Insomma, ben al di sotto di tanti altri rincari e perfettamente in linea con il costo dell’inflazione. Tenendo conto che si tratta di un prodotto che finisce quotidianamente sulle tavole degli italiani, sinceramente l’allarmismo di questi giorni appare davvero poco giustificato. Si sono letti tanti numeri, alcuni anche sbagliati: resta il fatto che noi pastai possiamo solo ribadire che il prezzo della pasta alla produzione è aumentato del +8,4%, in linea con l’aumento dell’indice d’inflazione medio dei beni al consumo. Se l’aumento del prezzo al consumo è stato poi del +16,5% è frutto di dinamiche esterne al mondo della produzione”. È il commento di Unione Italiana Food alla riunione tenutasi oggi a Roma a Palazzo Piacentini indetta dalla Commissione di allerta rapida per analizzare la dinamica del prezzo della pasta convocata dal Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, e dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo.

Nel corso dell’incontro il Ministero dell’Agricoltura ha riferito che, all’esito di controlli effettuati dall’Ispettorato centrale repressione frodi, nessun fenomeno speculativo o illecito è stato registrato.

“Dispiace l’enfasi iniziale con cui è stato accompagnato questo tavolo. Si tratta di una propaganda negativa, pregiudizievole per un settore che rappresenta un orgoglio per il Made in Italy, il fulcro della dieta mediterranea, un prodotto che fa da volano all’export e a tante altre eccellenze nostrane. Una pubblicità negativa che, purtroppo, proviene proprio dal Dicastero che ha mutato la propria denominazione, votandosi alla tutela delle imprese e del Made in Italy.

Secondo UIF, l’incremento del prezzo della pasta presentato come un’allerta, è invece un dato logico e facilmente spiegabile. La pasta oggi a scaffale è stata prodotta mesi fa con grano duro acquistato alle quotazioni del periodo ancora precedente, con i costi energetici del picco di crisi bellica, cui si sono aggiunti i forti costi del packaging (carta e plastica) e della logistica (carburante, pallet, containers).

I prezzi di oggi, quindi, sono il risultato di una libera contrattazione fatta dalle singole aziende con la distribuzione. Una situazione che i pastai di Unione Italiana Food non hanno tardato a definire come una “tempesta perfetta” per il settore della pasta e non solo (anche gli altri beni alimentari hanno subito gli stessi incrementi). È vero, i costi sono scesi ma non sono tornati ai livelli del passato e sono ancora piuttosto sostenuti rispetto a quelli registrati a cavallo del 2020/2021.

All’inizio del 2022, il prezzo del grano era salito a quasi 600 euro a tonnellata (+110% rispetto allo stesso periodo del 2021) ed ora è sceso sensibilmente, attestandosi tra i 350 e i 380 euro (comunque +30% rispetto al 2019). Stessa dinamica la si può riscontrare per i costi energetici e le altre voci di costo.

Quando il grano duro era alle stelle non è stato avvertito nessun grido di allarme per i pastai. Eppure, si tratta di un settore con una marginalità ridottissima visto che con poco più di un euro si acquista un pacco di pasta da 500 grammi e in quell’euro ci stanno tutte le voci di costo: il grano duro, la trasformazione del grano in semola, i costi energetici di aziende fortemente energivore (elettricità e gas), il packaging, i trasporti ed altro ancora.

“Fa male vedere che qualche organizzazione agricola che conosce bene questi meccanismi metta in contrapposizione il basso prezzo del grano duro con il presunto prezzo alto della pasta e non faccia altrettanto a condizioni invertite. Questo approccio non fa bene alla filiera – continua Unione Italiana Food - Se la pasta ha un prezzo più sostenuto è probabile che, in prospettiva, ci sia più margine di crescita anche per il grano duro. Di certo, se il prezzo della pasta è basso, il prezzo del grano duro è destinato a comprimersi e le aziende pastaie a chiudere”.

Cosa che sta già accadendo: i pastifici italiani sono sempre meno (500 negli anni ‘70 e poco più di 100 oggi) e la ridottissima marginalità che caratterizza la produzione di pasta mette a dura prova la tenuta dei bilanci delle aziende pastarie e con essa il pilastro per eccellenza del Made in Italy del food.

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