«Settimana di 4 giorni? Sì e iniziamo dal Sud»

Il segretario della Cisl: Stellantis potrebbe dar vita all'esperimento

Luigi Sbarra
Luigi Sbarra
di Nando Santonastaso
Mercoledì 1 Marzo 2023, 08:24
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Segretario Sbarra, uno studio inglese rilancia la possibilità della settimana cortissima per accrescere la serenità dei dipendenti e la loro produttività. In Italia si potrebbe lavorare solo 4 giorni su 7?
«È una grande sfida per il sindacato e per tutto il mondo produttivo, da cogliere attraverso la contrattazione risponde Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl -. Una ricetta che la Cisl ha sostenuto fin dagli anni Settanta per accompagnare le trasformazioni tecnologiche, redistribuendo il lavoro in modo da salvaguardare occupazione, aumentare i salari, radicare gli investimenti, rilanciare la produttività e qualità del lavoro. L'opportunità della settimana corta va connessa al progresso tecnologico, all'evoluzione organizzativa nelle aziende, ad incrementi di produttività collegati alla formazione permanente dei lavoratori».

Lo Stato come potrebbe favorire il processo?
«Incentivando gli accordi aziendali per la riduzione dell'orario o il part-time agevolato. Già molte aziende in Italia stanno praticando questa strada che potrebbe essere adottata negli stabilimenti del gruppo Stellantis, ad esempio, a cominciare dal Mezzogiorno. Bisogna essere pragmatici, penso a un accordo tra sindacati, imprese e governo che metta al centro leve fiscali concrete. Chiediamo di aprire una fase sperimentale, individuando 100 imprese grandi e medie dove trasformare, su base volontaria, accordi di produttività in riduzione oraria. E poi bisogna favorire la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Nei prossimi giorni la Cisl presenterà la sua proposta di una legge di iniziativa popolare per applicare finalmente l'articolo 46 della Costituzione. Un'altra grande sfida».

A proposito di Stellantis, l'elevato target di efficienza raggiunto dagli stabilimenti del Sud fa definitivamente tramontare il pregiudizio sui meridionali fannulloni?
«Voglio davvero sperarlo.

Chi dà giudizi sul capitale sociale di un territorio guardando alla latitudine non ha ben presente che, storicamente, l'industria di questo Paese è stata sorretta dai meridionali emigrati nelle zone forti del Paese. Quanto al merito: la capacità produttiva e i risultati che gli impianti di Stellantis hanno raggiunto stabilmente al Sud sono il frutto non solo di investimenti strategici compiuti negli anni, ma soprattutto del continuo lavoro che un sindacato partecipativo e responsabile come la Cisl ha fatto e continua a fare per modernizzare le relazioni sindacali, per garantire efficienza, produttività, aggiornamento delle competenze dei lavoratori. Ora c'è la sfida dell'auto elettrica che ovviamente va affrontata e vinta».

Ma la scadenza del 2035
«È essenziale governare insieme il passaggio, con un intervento concertato e organico sull'automotive e, più in generale, sulla politica industriale dell'Europa e del nostro Paese. Bisogna sbloccare massicci investimenti su innovazione, politiche energetiche, ecosistemi e infrastrutture nelle città. Va istituito un fondo sovrano europeo per una transizione tutelata, per accompagnare le riconversioni industriali, proteggendo, rilanciando e riqualificando l'occupazione. In gioco c'è il destino di 70mila lavoratori, ai quali si aggiungono gli occupati dell'indotto. Questi rischi non possono ricadere su famiglie già colpite nei redditi e nella qualità della vita».

Con la stretta sul Superbonus, quanto rischia l'edilizia?
«Si rischia uno shock su moltissime imprese edili, con effetti pesantissimi sull'occupazione. Governo e Parlamento devono cambiare e migliorare la norma sul Superbonus. Bisogna trovare una soluzione equilibrata per disincagliare i crediti fiscali di quanti hanno regolarmente effettuato i lavori, spingendo sull'acquisto da parte di banche e altri attori economici. I bonus edilizi sono stati e restano strumenti importanti per la ripartenza dell'economia e del lavoro: l'errore è stato quello di non collegarli in modo strutturale alle fasce di reddito più deboli e alle classi energetiche più basse, con particolare riguardo all'edilizia popolare».

Il governo ha anche modificato la governance del Pnrr e della Politica di Coesione: siete rimasti sorpresi?
«È stato un "blitz" che non ci è piaciuto prima di tutto nel metodo, perché è intervenuto in modo unilaterale su strumenti negoziati con le parti sociali. Ma poi, senza una governance partecipata dal sindacato e dalle imprese, senza una bussola sociale agli investimenti, il Pnrr rischia di trasformarsi nella più grande occasione persa degli ultimi 50 anni. Lo diremo proprio oggi al ministro Fitto: al di là del Pnrr, serve chiarezza per capire che ruolo si vuole dare al dialogo sociale. Su pensioni, salute, sicurezza, contrasto all'inflazione, fisco, investimenti, il governo sembra dare segnali di letargia. Alcuni tavoli sono partiti, ma la qualità del confronto è calata, inutile negarlo».

I sindaci hanno chiesto al governo di sospendere l'iter del ddl Calderoli sull'autonomia regionale. Che ne pensa?
«Fanno bene. Una riforma di tale importanza deve essere progettata e attuata con il pieno coinvolgimento del Parlamento, del sistema delle autonomie locali e delle parti Sociali. La Cisl non ha posizioni pregiudiziali ma un punto dev'essere chiaro: si deve puntare a rafforzare e non indebolire l'unità e la coesione nazionale. E bisogna assicurare adeguate forme di perequazione per i territori con minore capacità fiscale, a partire dal Mezzogiorno».

Intanto molti ospedali, da Napoli a Roma, sono al collasso. Come se ne esce, segretario?
«Siamo molto preoccupati. Dopo 20 anni di politiche sanitarie fatte di tagli indiscriminati siamo oggi alla mancanza di 70mila infermieri e 30 mila medici, con quasi 100mila posti letto in meno e la chiusura di centinaia di reparti e di piccoli ospedali. L'occasione del Pnrr doveva portare a una svolta definitiva. E invece da quest'anno e per l'anno successivo sono previsti nuovi tagli. Dobbiamo spezzare le disuguaglianze che separano Nord e Sud. E poi sarebbe il caso di riconsiderare il caparbio rifiuto delle risorse messe a disposizione dal Mes sanitario».

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